23 Settembre 2017, 10:17
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BRONTE – “Io sono assolutamente tranquillo, perché penso che la verità venga sempre a galla, perché in tutto questo non c’è proprio nessun fondamento. Sono tutte calunnie”. Si dice sereno padre Luigi Minio, il presidente della casa di riposo di Bronte, oggetto insieme ad altri quattro dipendenti di una richiesta di rinvio a giudizio per maltrattamenti e abbandono degli anziani. “L’invito che rivolgo a tutti quanti – continua il sacerdote – è venite a constatare di presenza qua, parlate con gli ospiti, chiedete se mai qualcuno di loro è stato maltrattato”.
Parla di “vendetta”, padre Minio, dietro a tutta questa vicenda, mentre mostra un faldone di cinquecento pagine, contenente documenti e una sua memoria scritta, e snocciola le vicende della casa di riposo dal suo arrivo ad oggi. “Ancora non sono stato interrogato”, dice il prete, “sarò sentito il 5 ottobre e spiegherò come stanno i fatti”, pronto a rispondere punto per punto ad ogni accusa, mostrando tutti i suoi incartamenti e facendo nomi e cognomi. Il 24 luglio 2013 “il vescovo ha nominato me con un preciso compito, se riuscirai a salvare la casa di riposo il merito sarà prima della provvidenza e poi tuo”. “La situazione – continua padre Minio – era difficile da tutti i punti di vista. Sul piano economico 3 milioni di debiti, situazione qui fatiscente, opinione nel paese pessima, tutto allo sbando, personale in rivolta”. “Ho fatto intervenire esperti esterni che verificassero la contabilità e hanno riscontrato una serie di irregolarità. Ho fatto denunzia alla Procura, la Guardia di Finanza ha fatto tutti gli accertamenti e nella sua relazione ha confermato tutte queste irregolarità”.
Nelle parole del prete, la sua diventava insomma una presidenza sempre più scomoda. “A partire da quando io sono stato nominato presidente, senza che io ne sapessi niente, è iniziata un’azione sotterranea il cui scopo era mettermi in difficoltà”. “Sono arrivate tutte le possibili ispezioni” e tra queste anche quella dei NAS a cui si fa riferimento nella richiesta di rinvio a giudizio. Ma, afferma ironico padre Minio, “nel conferirmi l’incarico il vescovo ha dimenticato di darmi la bacchetta magica in maniera che immediatamente io risolvessi tutto”. “Quando sono arrivati i NAS – prosegue infatti – hanno trovato quella situazione fatiscente che c’era”, una situazione che però, precisa il prete, lui aveva ereditato. “Se tornassero ora, non troverebbero niente di tutto quello”. “A poco a poco quello che era carente sul piano strutturale lo abbiamo ripristinato”, potenziando anche l’organico.
Contemporaneamente, continua, una “pioggia di lettere anonime indirizzate a tutte le autorità che accusavano qui di maltrattamenti” e inoltre “quasi ogni giorno arrivavano email al vescovo contro di me in cui si diceva che la casa di riposo andava in rovina per il mio intervento, che qui gli ospiti erano maltrattati, genericamente, che io agivo da solo senza il parere del consiglio di amministrazione, venivo ridicolizzato continuamente”. Nel 2015, sempre in seguito a denuncia, i militari “sono venuti qui in forza e abbiamo saputo dopo che avevano messo telecamere nascoste, fatto intercettazioni ambientali, messo sotto controllo i nostri telefoni, ma non è emerso niente, perché non c’era niente. Qui gli anziani meglio di come erano e sono trattati non potevano essere trattati”.
“La maggior parte della gente, pur leggendo non ci crede. Tutti quelli che hanno avuto modo di conoscere, di venire. Mi arrivano in continuazione messaggi di solidarietà per questa situazione. Però – prosegue padre Minio – ci sono alcuni, specialmente sentendo in tv di tutte queste cose che succedono, che ci credono. Quindi è un danno che ne stiamo ricevendo sia io persona, sia la casa di risposo come struttura, senza nessun fondamento”. “Da notare, io sono venuto alla casa di riposo, non sono retribuito, ho dovuto lasciare il mio lavoro professionale perché il lavoro qua era talmente assorbente, ho venduto la mia casa e il ricavato l’ho messo a disposizione della casa di riposo per fronteggiare le emergenze che c’erano”. La preoccupazione del presidente è anche che qualcuno possa speculare sulla vicenda. “Finora – afferma infatti – nessuna famiglia si è presentata dicendo di volersi costituire parte civile, però con questo chiasso qualcuno potrebbe essere invogliato a farlo, sperando in qualche risarcimento”. Ad attendersi ora è giovedì 5 ottobre, data in cui il GIP si pronuncerà sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla Procura di Catania.
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23 Settembre 2017, 10:17