22 Luglio 2012, 10:19

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Tra il dovere dello svago, i rinvii dei problemi, la finta quiete, dopo l’estate tornerà la vita. Con le sue euforie e le sue pene. E i padri torneranno a sapersi responsabili del lavoro più difficile del mondo, a cui nessuno li prepara. Qualcuno potrebbe chiamare il figlio vicino a sé e leggergli, come parole condivise, queste tre lettere. Sono soltanto tre. Diciamo una ogni dieci giorni? Cinque minuti ciascuna? Insomma, un quarto d’ora da padri. Anche in estate si può.

“Lettera al figlio”
di Rudyard Kipling

Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te la stan perdendo e te ne attribuiscono la colpa, se sai aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te ed essere indulgente verso chi ti dubita; se sai aspettare e non stancartene, e mantenerti retto se la calunnia ti circonda e non odiare se sei odiato, senza tuttavia apparire troppo buono né parlare troppo da saggio; se sai sognare senza abbandonarti ai sogni; se riesci a pensare senza perderti nei pensieri, se sai affrontare il Successo e la Sconfitta e trattare questi due impostori nello stesso modo; se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui; se sai guardare le cose, per le quali hai dato la vita, distrutte e riesci a resistere ed a ricostruirle con strumenti logori; se sai fare un fascio di tutte le tue fortune e giocarlo in un colpo solo a testa e croce e sai perdere e ricominciare da capo senza mai lasciarti sfuggire una parola su quello che hai perso; se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi muscoli a sorreggerti anche quando sono esausti, e così resistere finché non vi sia altro in te oltreché la volontà che dice loro: “Resistete!”; se riesci a parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà, o ad avvicinare i potenti senza perdere il tuo normale atteggiamento, se né i nemici né gli amici troppo premurosi possono ferirti, se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo; se riesci a riempire l’inesorabile minuto dando valore ad ogni istante che passa: il mondo e tutto ciò che è in esso sarà tuo, e, quel che conta di più, tu sarai un Uomo, figlio mio!

Da Lettere a Lucilio
di Seneca

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Compòrtati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto. Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l’altro la vita se ne va. Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il tempo che ha ricevuto, quando è proprio l’unica cosa che neppure una persona riconoscente può restituire.

 

Lettera al figlio
di Edmondo De Amicis (dal libro Cuore)

Pensa agli innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell’ora vanno a scuola in tutti i paesi; vedili con l’immaginazione, che vanno, vanno, per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi, dove sotto un sole ardente, dove tra le nebbie, in barca nei paesi intersecati da canali, a cavallo per le grandi pianure, in slitta sopra le nevi, per valli e per colline, a traverso a boschi e a torrenti, su per sentieri solitari delle montagne, soli, a coppie, a gruppi, a lunghe file, tutti coi libri sotto il braccio, vestiti in mille modi, parlanti mille lingue, dalle ultime scuole della Russia quasi perdute fra i ghiacci alle ultime scuole dell’Arabia ombreggiate dalle palme, milioni e milioni, tutti a imparare in cento forme diverse le medesime cose; immagina questo vastissimo formicolio di ragazzi di cento popoli, questo movimento immenso di cui fai parte, e pensa: – Se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo. – Coraggio dunque, piccolo soldato dell’immenso esercito. I tuoi libri son le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana. Non essere un soldato codardo, Enrico mio.

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22 Luglio 2012, 10:19

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