03 Luglio 2012, 11:05
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La vita è dura per chi ha un manoscritto nel cassetto. Anche io, come tanti, sognavo che i miei racconti venissero pubblicati. È come per un attore venire chiamato per un film, per un cuoco entrare nella guida Michelin, o per un fotografo finire su un catalogo. E poco importa se il catalogo sia misconosciuto, se le stelle nella guida Michelin siano le stesse di una notte nuvolosa e se il film sia un super otto di un tuo amico.
All’inizio il miraggio è la pubblicazione. È come se la patente di scrittore la desse solamente il fatto di essere pubblicato, di finire in una libreria, in almeno uno scaffale polveroso. Di distribuzione, di peso della casa editrice, visibilità, uffici stampa e promozione se ne parlerà in seguito. Come di soldi. Il tasto dolente.
Fu per questo stato d’animo, comune a coloro che non possono definirsi scrittori, che lessi la mail di una delle tre piccole case editrici a cui avevo mandato il file coi miei racconti.
Gentile MP, abbiamo il piacere di comunicarle che abbiamo apprezzato il suo scritto, e che è nostra intenzione pubblicarlo. La aspettiamo Lunedì alle ore 10:00 presso la nostra sede in via eccetera per la stipula del contratto.
Cordiali Saluti
Non stavo nella pelle. Non mi sembrava vero, e l’emozione era tanta da non farmi riflettere sul fatto che una risposta così celere, meno di 48 ore, era davvero inaspettata. Purtroppo la mail era arrivata venerdì, così che avrei dovuto fremere l’intero week end prima della agognata firma sul contratto. Furono due giorni lunghi e densi. Volevo comunicare a tutti che anche io sarei diventato uno scrittore, come PL, autore di romanzi noiosissimi pubblicati dalla casa editrice Mondolibri, o come la signora TB, poetessa dei miei zebedei, però da anni anche lei pubblicata dalla Ferdinandea di Trapani.
Il lunedì alle 9 ero già nella Casa Editrice, al cospetto del responsabile che conoscevo di vista. Mi fece accomodare e mi presentò il vecchio proprietario della Casa Editrice, forse ancora socio di minoranza. Mi parlarono a lungo della loro attività, mi dissero che io avevo un cognome famoso, per via dei libri pubblicati da mia mamma, che loro apprezzavano molto, e che erano felici di pubblicarmi. Avevano anche preparato una bozza di contratto, già stampata sulla scrivania. Indugiarono molto sulle difficoltà di un’attività complessa come quella, in epoche difficili, dove la gente leggeva poco. Poi, dopo più di un’ora di fuffa, finalmente mi diedero in mano il contratto.
Come vedi la distribuzione sarà capillare, noi non siamo come quelli che stampano il libro e non lo promuovono.
Bene.
Noi vendiamo in tutta Italia, hai la garanzia che il libro si troverà ovunque.
Sono contento.
Pensiamo di stamparne mille copie come prima edizione. Ma siamo certi che ce ne saranno altre.
Speriamo…
Chiaramente il rischio dovrà in qualche modo essere ammortizzato, capisci bene……? La nostra formula è quella che su mille copie stampate l’autore ne prenda quattrocento. Ma ovviamente a un prezzo particolare.
Ovvero? – Dissi con un senso di disagio crescente.
Il prezzo di copertina sarà di dieci euro. L’autore li comprerà a otto. Ci sembra ragionevole. Cioè, quanto dovrei spendere, scusate. – Anche la moltiplicazione più semplice mi appariva irrisolvibile.
Sono quattrocento copie a otto euro l’una. Tremila duecento euro appena.
Solo?
Si. Ma sull’eventuale ristampa non ti chiederemmo niente.
Troppo buoni. Solo una cosa.
Prego.
Ma io cosa me ne faccio di quattrocento libri?
Vabbè, li puoi vendere agli amici a dieci euro. Alla fine ci guadagneresti due euro a copia, che sono la bella sommetta di ottocento euro. Niente male!
Simulai un interesse alla cosa, ripromettendomi di pensarci bene e di dargli una risposta a brevissimo. Mi sembrava brutto mandarli a quel paese a casa loro.
Tremila e duecento euro non li avevo, e se li avevo non li davo certo a loro. Ma poi che razza di ammortizzazione del rischio era? Io coprivo abbondantemente le spese, loro intascavano i miei soldi e ci guadagnavano già, magari stampandone solo 100 in più. Io avrei dovuto vendermi 400 libri, bussando porta a porta a casa delle mie conoscenze. Niente da fare, senza rimpianti.
Qualche anno dopo, quando trovai chi era disposto a spendere per pubblicare i miei racconti, rividi il logo della Casa Editrice sulla prima pagina del quotidiano locale, che invitava potenziali scrittori e poeti a mandare le loro opere, che avrebbero visto certamente la pubblicazione. E grazie, a sto prezzo!
Pubblicare a queste condizioni equivale a pagare l’amore. C’è chi prova soddisfazione, nulla da eccepire. Trovare un editore che crede in te, che riconosce la bontà del tuo lavoro, è un’altra cosa.
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03 Luglio 2012, 11:05