13 Dicembre 2021, 13:10
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PALERMO – Sostituisce la biopsia renale e rappresenta una valida e meno invasiva alternativa per diagnosticare la malattia di Fabry. Si tratta della biopsia cutanea.
Meglio nota come malattia di Anderson-Fabry, questa patologia rara è caratterizzata dall’insufficienza di un enzima, chiamato alfa-galattosidasi A ed è causata da una mutazione a carico di un gene di cui sono state descritte oltre 800 diverse mutazioni in pazienti con malattia di Fabry. Tra i sintomi e segni principali vi sono: dolori diffusi e lesioni cutanee (angiocheratomi); ad essere colpiti sono soprattutto i reni, il sistema nervoso centrale e periferico e l’apparato cardiocircolatorio.
La biopsia cutanea rappresenta una metodica diagnostica alternativa, sicura ed efficace, meno invasiva rispetto alla classica biopsia renale che di solito viene utilizzata.
La procedura, messa a punto e validata in Italia dal gruppo della Neurologia dell’Università di Bologna, è adesso utilizzata da più di un anno anche presso la U.O.C di Medicina Interna con Stroke Care dell’AOUP P. Giaccone, unità in cui è attivo il Centro di Riferimento Regionale per la Diagnosi e Cura della malattia di Fabry, entrambi diretti dal Prof. Antonino Tuttolomondo, Ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Palermo.
Un metodo di diagnosi che ha un’invasività minima: infatti, senza dover poi ricorrere a punti di sutura con un kit particolare viene eseguito un prelievo di un campione cilindrico sub-centimetrico di cute e sottocute da cui è poi possibile rintracciare l’accumulo del metabolita patologico. Il vantaggio principale e la rapidità di esecuzione e la minor invasività. Tale tecnica ha mostrato una promettente specificità nell’identificazione dei pazienti con malattia di Fabry, poiché i depositi del metabolita sono assenti nei controlli sani e in pazienti con neuropatia delle piccole fibre nervose da altra causa nota.
“La malattia di Anderson Fabry – spiega il Prof. Tuttolomondo – si presenta e manifesta in modo estremamente vario ed è legata al cromosoma X per cui colpisce principalmente i maschi cosiddetti emizigoti, ma anche le femmine eterozigoti. La diagnosi può diventare un’odissea durante la quale il paziente può passare sotto la lente di osservazione anche di una decina di diversi specialisti. Essenziale è, invece, riuscire ad essere tempestivi proprio nella fase diagnostica. Da 15 anni presso il nostro centro opera un gruppo di medici dedicati al trattamento di questa patologia. Insieme a me il gruppo Fabry è costituito dal Dott. Salvatore Miceli, dalla Dottoressa Irene Simonetta e dalle assistenti in formazione Dottoressa Renata Riolo e Dottoressa Federica Todaro”.
I principali organi coinvolti nella malattia di Fabry sono i reni, il sistema nervoso e l’apparato cardiocircolatorio, cui spesso si associano manifestazioni cutanee, gastrointestinali, disturbi visivi, vestibolari; un paziente ha un’aspettativa di vita fino a 30 anni in meno rispetto al resto della popolazione. La sua prevalenza è di 1 su 70.000 ma secondo recenti stime potrebbe anche essere più frequente.
Per accedere al centro è necessario prenotare una visita, tramite richiesta del proprio medico di Medicina Generale o altro specialista di riferimento con dicitura visita internistica e selezionare tra gli ambulatori associati all’unità operativa 26.01, l’ambulatorio Malattie Cerebrovascolari e Malattia di Fabry; qui dopo una prima valutazione verrà poi programmato il percorso clinico diagnostico che prevede screening enzimatico, analisi genetica e quindi screening per l’eventuale danno d’organo attraverso l’esecuzione della biopsia cutanea. Tale metodica si inserisce quindi nell’iter diagnostico da noi seguito per sospetta malattia di Fabry che si basa su un approccio multidisciplinare che prevede una valutazione cardiovascolare, neurologica, nefrologica, oculistica, otorinolaringoiatrica, dermatologica coinvolgendo altri specialisti del Dipartimento e del Policlinico.
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13 Dicembre 2021, 13:10