Palermo, nella giungla del centro storico "comandiamo noi" - Live Sicilia

Palermo, nella giungla del centro storico “comandiamo noi” NOMI

L'operazione della polizia fotografa una condizione di forte disagio

PALERMO – Agivano in branco. Tra maggiorenni e minorenni sono una ventina i ragazzi finiti sotto inchiesta. Ragazzi terribili, nati in Bangladesh, Marocco, Tunisia e a Palermo, che hanno trasformato il centro storico di Palermo nel loro campo di battaglia.

Il blitz dei poliziotti, coordinati dalla Procura della Repubblica e da quella dei minorenni, consegna alla cronaca l’immagine di una fetta di città segnata dalla violenza.

Generalizzare non è mai cosa giusta, ma il problema del centro storico è serio e va affrontato. Bisogna garantire vivibilità e tranquillità ai cittadini che lo frequentano e agli operatori economici che vi lavorano. Non basta chiudere una strada per pedonalizzarla. Ed invece così è accaduto. Serve molto di più. Maggiore prevenzione innanzitutto, e non solo repressione. Quella repressione oggi ha colpito un gruppo di ragazzi ritenuti responsabili di una sfilza di reati.

I più gravi ricostruiti dalla polizia sono tre, tutti avvenuti nei mesi scorsi. Qualcuno bussa al citofono di un appartamento in corso Alberto Amedeo. Un ragazzo scende e trova un gruppo di coetanei. Chiede cosa stiano facendo. Viene accerchiato e preso a pugni. Per fortuna interviene il padre ad evitargli il peggio. Qualche giorno dopo il giovane incrocia in via Colonna Rotta i ragazzi che lo hanno aggredito. Li ferma e la storia si ripete.

“Questa è zona nostra, dacci i soldi o vi ammazziamo”. Urlano e picchiano duro. Usano un casco per fare ancora più male.

Il secondo episodio avviene in discesa delle Capre, una traversa di via dei Candelai. Mentre un gruppo di amici sta scendendo giù per le scale, uno viene sgambettato. Si alza e chiede spiegazioni. Poco dopo si trovano accerchiati. Uno, due, tre, quattro: il branco si raduna al segnale. Sono armati di bastoni. Le vittime, anche loro giovanissime, finiscono in ospedale per i traumi riportati. Hanno cercato riparo in un locale, ma il titolare li ha fatti uscire tremendo anch’egli le conseguenze. Non vuole rogne nel suo pub.

Si comporta, per fortuna, diversamente un altro esercente che accoglie i ragazzi. Chissà cosa sarebbe accaduto se non gli avesse dato ospitalità.

Il terzo episodio ha per protagonista un poliziotto. È libero dal servizio quando vede gruppo di ragazzi uscire di corsa da un pub. Si avvicinano alla sua macchina, la danneggiano. L’agente è in compagnia della fidanzata di una coppia di amici. Cerca di fermarli. Si qualifica, ma si becca un pugno in faccia. “Caso mai che fai, vieni che ti ammazzo”, urla uno di loro mentre gli altri si armano con delle bottiglie di vetro rotte. Il poliziotto estrae l’arma, spara un colpo in aria. Gli aggressori non desistono. A quel punto, ed è lo stesso giudice per le indagini preliminari a sottolinearlo, comprende di non avere altra scelta che subire il pestaggio pur di evitare che il branco entri in possesso della pistola. Le conseguenze avrebbero potuto essere peggiori. Il branco si dilegua. Iniziano le indagini. I poliziotti recuperano le immagini degli impianti di videosorveglianza e raccolgono testimonianze. Chi ha subito la violenza riconosce i volti degli aggressori nei coetanei che caricano video su Tik Tok e YouTube, e foto su Instagram con un profilo chiamato “arabzone90133”.

Si arriva al blitz di oggi. In carcere finiscono Aziz Rabeh, 19 anni, Ayoub Latrach, 19 anni, Bablo Ali, 20 anni, Imanalah Hamraoui, 20 anni, Yassine Attia, 19 anni, Yassine Drief, 19 anni. Ai domiciliari Khalid Ndong. Anche per cinque minorenni scattano provvedimenti cautelari. Alcuni sono stati rinchiusi al carcere Malaspina, altri


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