25 Maggio 2019, 16:07
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PALERMO- Era l’autunno del 1987, Santino Nuccio era un ragazzo come noi. “Perché ho fatto quella rovesciata? Mah, per intuizione, per spensieratezza…”. Era il novembre del 1987. Sei anni prima in ‘Fuga per la vittoria’ Pelè aveva mostrato al mondo l’acrobazia più bella di tutti i tempi. Ma era cinema, anche se si narra che un tale miracolo venne realizzato al primo tentativo. E a Sylvester Stallone, che voleva a tutti i costi la parte dell’eroe che segna il gol decisivo, spiegarono che per un portiere era più difficile e che doveva accontentarsi di parare un rigore dubbio a tempo scaduto in barba al tedesco cattivo che, nella vita, era un buon calciatore statunitense.
Era il 15 novembre del 1987. Qualcuno era andato alla ‘Favorita’ non ancora ‘Barbera’ per vedere giocare il Palermo di Caramanno, una squadra indomita che stava risalendo dalla serie C2 dopo una faticosa rifondazione. C’erano stati funerali sportivi, lacrime e maledizioni. Ma la rinascita aveva dato fiato a una città che si era come ritrovata e ricucita nei suoi strappi.
Qualcuno era andato allo stadio. Qualcuno no. Qualcuno passò di là quella domenica e notò frange di tifosi impazziti dalla felicità. Qualcuno gridò: “Abbiamo vinto con una rovesciata di Santino Nuccio! Santino è meglio di Pelè”. Ora, di quella prodezza, in rete, esistono sfocati frammenti video. Un lancio della disperazione agli ultimi respiri. Sossio Perfetto e un difensore sgomitano. Il pallone si alza a candelotto al limite dell’area. Santino fa una cosa da spiaggia di Mondello, cortile numero otto. Sforbiciata e palla all’incrocio del portiere Mancini. Eppure, pioveva.
“Come è nato tutto? – racconta il protagonista che da allora non ha mai smesso, nella nostra immaginazione, di rotolare sul prato fradicio d’acqua -. Appunto, dalla fantasia, dalla follia… Sai, quando tenti una cosa del genere e la partita sta finendo, rischi… Puoi fare una bellissima e una bruttissima figura. A me è andata bene. Ricordo che il portiere in porta era piazzato giusto. Ho avuto fortuna”.
Ma sorte più benevola è davvero il premio dei coraggiosi che lasciano il segno. Infatti, quel gol, nell’immaginario popolare, ancora oggi è consacrato quale simbolo e metafora di una resurrezione. E allora uno si incuriosisce e domanda: Santino, scusa, che disse mister Caramanno? Ti avrà abbracciato, no? E Santino, paziente, risponde: “Lui non mi disse niente. Era un buono, ma era un sergente di ferro che non esternava i suoi sentimenti. Però mi sono preso le mie soddisfazioni quando, nelle riprese televisive, ho notato che esultava come un pazzo dalla panchina. Che ho provato? Scusa, ma non si può spiegare a chi non l’ha provato davvero. Mi sono messo a fare le capriole e non sono finite mai. Tutti mi chiedono di quel gol, anche poco fa, prima che tu telefonassi, il parrucchiere di mia moglie…. Amo Palermo, sono un tifoso e sono contento che mi si ricordi per quello e perché uscivo dal campo sempre con la maglia sudata. Era un altro calcio. Avevamo una squadra costruita con intelligenza e un grande mister. Lo ripeto: Pino Caramanno è stato un grandissimo allenatore, un innovatore”.
Il presente è triste: “Non me ne parlare – dice Santino – l’amarezza è grossa. La città e i tifosi non meritano il calvario che stiamo vivendo. Gli mando un grosso abbraccio affettuoso. Ciao e forza Palermo”.
La telefonata finisce, sgocciolando, come finiscono certe partite dei nostri sogni pieni di pioggia. E finiscono per restare. Era l’autunno del 1987. Quel Palermo le avrebbe suonate in un’amichevole pure all’Ajax. Quattro gol e a casa, perché Pino Caramanno era davvero un grande. Avevamo sedici anni. Le estati duravano tre mesi. Il mare d’agosto era infinito come le capriole sul prato dopo una rovesciata. Non c’era differenza tra la sabbia calda e il nostro cuore innamorato. Era il 1987, un’altra vita. Santino Nuccio era un ragazzo come noi.
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25 Maggio 2019, 16:07