18 Maggio 2014, 10:22
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PALERMO – Siparietto in via Sampolo, un’ora prima della partita, tra un omone grande grosso in camiciola e collanone penzolante sul petto irsuto e un lungagnone dalla faccia di bambino, pochi peli sulle guance e sopracciglioni che sembrano foreste: “Ma chi è, papà, ‘un ci amo o stadiu?”, domanda il ragazzo. E l’omone: “Arrieri? Ma a fiesta r’ona simana fa un t’abbastò… A travagghiari mai ci piensi, ah?”. Il ragazzo scrolla il testone, mugugna non si capisce bene cosa e allora il padre si incavola di brutto: “Minchia, s’av’a pierdiri u me onuri ca s’on t’alliesti a scaricari tutta ddà ruobba ro lapino, ti rumpu tutti i cuorna!”. Così detto, gli molla (anzi gli “cafudda”, rende meglio l’idea) uno schiaffone (anzi, una “timpulata”, rende meglio l’idea) sulla nuca e il ragazzo fa marcia indietro (prima puntava direzione stadio, ora invece lato Ucciardone) e comincia a metter giù da un lapino, tutto colorato di rosanero, roba varia. Anzi variissima, tipo: materassini e sedie sdraio da spiaggia, un comodino rococò, scatoloni di cartone stracolmi di tappeti arrotolati, copertoni usati, una minisega da giardino, tenaglie, pinze, martelli ed altri utensili da fontaniere, un divano a due posti e un paio di poltrone. Insomma, un bazar e, ad occhio, per scaricarlo dal lapino un’ora non poteva bastare e quindi addio stadio. Infatti il ragazzo non apre più bocca, lavora sodo di muscoli, sotto lo sguardo vigile e severo del padre. Mentre mi allontano, leggo sul cassone posteriore del lapino la scritta. “Si fanno traslochi di roba piccola e di roba grande”. E ti credo: dalla sedia a sdraio al divano ce ne corre.
Arrivo allo stadio e ho la conferma di quanto ampiamente previsto in settimana. Ci trovo solo “i parienti ra zita”, i soliti fedelissimi ottomila, ovvero i cinquemila e passa abbonati e i tremila con biglietto comprato in giornata. E penso al ragazzone dalle sopracciglia come foreste che mi sembrò davvero triste per aver perso la partita. Lo incontrassi ora gli direi: “Non ti sei perso niente, anzi ti sei risparmiato un sacco di “abbili”.
“Abbili”, ovvero fegato marcio, un po’ per aver subito un rigore al primo minuto di gioco per uno sciagurato intervento di Stevanovic fuori tempo (e fuori luogo: lui è un attaccante, non ha il “time” del difensore, gli mancano i fondamentali dell’intervento sull’uomo, ma i due esterni del Palermo, adatti al ruolo non sono disponibili -Pisano per squalifica e Morganella per i postumi delle fratture subite nella partita di Cesena) e Iachini è costretto a ricorrere a lui.
Così la partita comincia ad handicap, subito sotto di un gol e con due infortunati seri nel giro di un quarto d’ora: prima Vitiello (lo sostituisce Andelkovic) e poi Barreto (lo sostituisce Bolzoni) sono costretti ad uscire. Squadra rinnovata per sette undicesimi all’inizio e ora rimescolata per causa di forza maggiore: una giornata iniziata male, che rischia di finire peggio. Certe cose si annusano nell’aria e quel rigore a partita appena iniziata non poteva che essere un presagio di sventura. Poi, mettici pure un arbitro quasi esordiente, tal Minelli di Varese, che ha un modo tutto personale di valutare i falli, che ammonisce quando non deve e viceversa. Il Carpi fa quello che hanno fatto tutte le squadre che arrivano al “Barbera”: si difende ad oltranza e, appena può, cerca il contropiede. Il primo gli capita, come già spiegato, ad inizio partita ed è tutto merito di un peperino che porta l’11 sulle spalle ed ha un nome che suona familiare da queste parti: Di Gaudio. Antonio Di Gaudio. E sfido, è palermitano purosangue e, per l’occasione, ha fatto venire tutta la famiglia e dintorni e l’ha sistemata in tribuna, appena sotto la tribuna stampa, sulla destra.
Così succede che il Palermo perde e nelle vicinanze si sentono solo applausi. Resto di stucco e m’incavolo pure ed è così che apprendo che il piccolo e sgusciante Di Gaudio è palermitano ed ha tutti i suoi cari a tifare per lui. Ma il Palermo non ci sta, si mette in moto Vazquez e comincia la contro danza rosanero che al 24’ frutta un calcio di rigore a favore : tunnel di Vazquez, palla a Daprelà, doppio dribbling e takle di Porcari. Per l’arbitro è rigore, ma solo per lui: ci saranno altri falli dei biancorossi da sanzionare e lui non lo farà. Farà di peggio, perché consente ai difensori ospiti di picchiare ad oltranza Vazquez (lo fermi solo così e allora perché no se l’arbitro te lo permette). Ma dicevo del rigore: si presenta sulla lunetta Dybala e io tremo perché si è capito subito che Paulo non è in giornata. Infatti calcia male e Colombi para. Altra mazzata per i rosanero, che non si danno per vinti. Non possono, glielo impedisce il tifo scatenato della curva Nord, inferiore (dove spicca uno striscione bellissimo: “Il Palermo la mia vita. Il rosanero i miei colori”) e superiore e Vazquez quando parte semina il panico. Dal 26’ al 38’ è un crescendo rossiniano di velocissime azioni rosanero, tutte ispirate dai dribbling e dagli assist di Vazquez che, all’ennesimo fallo subito da Legati, si infuria come toro scatenato e ringhia chissà che, faccia a faccia con l’arbitro. Che non batte ciglio e, soprattutto, non sbatte il cartellino giallo in faccia al difensore emiliano.
E finalmente, al culmine dell’ennesima azione travolgente del Palermo, c’è un cross di Vazquez, spizzicato di testa da un giocatore del Carpi, che in pratica diventa quasi un invito per il sopraggiungente Bolzoni, che di testa infila Colombi nell’angolino. 1-1 e partita che finalmente comincia anche per il Palermo. Ma sull’ennesima offensiva rosanero, l’arbitro, dimentico del fatto che un paio di minuti almeno di recupero li deve concedere per via dei due infortuni e dei due cambi, fischia e interrompe sul più bello la corsa di Stevanovic, che puntava verso l’area di rigore avversaria. Ed è come la miccia che fa scoppiare la bomba: Vazquez si avvicina all’arbitro e, mostrandogli ripetutamente la gamba sinistra, gliene dice di tutti i colori. Lo capisco anche se disto da lui un centinaio di metri, perché accompagna le sue invettive con gesti plateali delle braccia e del capo. L’arbitro si agita subito, quel che sente non dev’essere stato piacevole e, infilata una mano, nel taschino ne estrae il cartellino rosso. Il tutto mentre Vazquez gli ha già voltato le spalle, avviandosi verso gli spogliatoi. Mi vien da pensare: e lo chiamano “El Mudo”!
Così giochiamo tutta la ripresa in dieci ma la cominciamo con ardore, anzi di più, con furore e per mezzora almeno la squadra in inferiorità numerica sembra il Carpi, accartocciato nella sua area, in difesa del pareggio. Le occasioni da gol fioccano ma i rosa le sbagliano tutte, anche le più invitanti: prima Dybala (che giornataccia, la sua) che calcia debolmente su invito delizioso di Belotti; poi Belotti (6’) colpisce di testa alla sua maniera e sembra gol ma Colombi vola come un angelo e devia in calcio d’angolo; poi (7’) Munoz di testa, ancora su punizione calciata dall’ottimo Daprelà: palla alta sulla traversa. Ed ancora (9’) di testa Belotti spreca sopra la traversa su assist di Stevanovic, così come, al 15’, Munoz su punizione di Daprelà. Ma la palla gol più comoda – roba che metterla dentro era più facile che buttarla fuori – arriva al 22’, quando Munoz si fa tutta la fascia dalla sua area a quella avversaria e poi crossa al centro, per Belotti, che è solo davanti a Colombi, ma si impappina e spreca. E’ il segno, l’ennesimo , che la giornata non sorride ai nostri colori perché nell’unico contropiede che gli riesce, il Carpi raddoppia: ci vuole l’abilità del nuovo entrato Sgrigna (per Bianco) che lancia nello spazio l’altro subentrato (al picciotto in visita di cortesia nella sua città, Di Gaudio), Pasciuti, nel frattempo smarcatosi sul filo dell’off side (lo tiene in gioco Milanovic) e il suo interno destro è una stilettata nell’angolo lontano, dove Sorrentino non può arrivare. 2-1 per il Carpi e partita praticamente chiusa.
Mi si stringe il cuore al 90’ quando l’arbitro – un vero capolavoro la sua direzione! – concede solo due minuti di recupero e se il regolamento non è stato cambiato in mattinata quando i cambi effettuati sono sei, l’ultra time non può essere inferiore ai tre minuti. Ma tant’è: questa con le altre, mettiamoci una croce sopra e pensiamo a vincere le due partite che restano. E’ quel che pensa (e dirà nel dopo partita) Iachini, tant’è che, appena l’arbitro fischia la fine, lui parte diritto verso il tunnel degli spogliatoi. Ed è la prima volta che succede quest’anno. Conoscendolo, non vorrei essere nei panni di Vazquez: gliene avrà dette cento nell’intervallo e mille a fine partita. E non è mica finita lì.
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18 Maggio 2014, 10:22