L’ammutinamento del capitano | Ma il responsabile è Zamparini

di

11 Gennaio 2016, 12:44

3 min di lettura

PALERMO – Anarchia. Anzi no, ammutinamento. Ma un ammutinamento intelligente, dettato dalla necessità, dall’obbligo di portare a casa il risultato per salvare la patria. La Serie A, nello specifico. Un caos predisposto e scatenato in modo lucido, coerente. Non tenendo conto di ruoli inesistenti e funzioni evidentemente saltate. Un istinto di sopravvivenza che va a premiare i colori, per una volta, con una prova di carattere, sagacia tattica, unità di intenti e intelligenza emotiva che vanno ben oltre le doti sin qui messe in mostra da un gruppo giovane, se non addirittura giovanissimo. La vittoria del gruppo, del capitano. Il successo del Palermo. Verona non fatale ma determinante, magari. Tre punti dal valore doppio, con il posto al sole di una salvezza nella primavera di un maggio che strizza l’occhio all’estate meno distante. Anzi, possibile. Come non sembrava appena ventiquattro ore prima.

Il successo di capitan Sorrentino. Che rimanda al mittente le accuse di scarsa professionalità, sfida apertamente l’allenatore e vede schierarsi dalla sua parte il gruppo, la società, il presidente. Tutti contro Ballardini, comunque tenuto in panchina. Da solo, senza batter ciglio. Freddo, impassibile, taciturno. Prima, durante e dopo la partita. La paura che gli undici mandati in campo – senza decidere, di fatto – potessero ritrovarsi senza cambi per assenza di comunicazione è subentrata nel cuore e nella mente dei tifosi, almeno per un attimo. I rosa avanti con un tocco di Vazquez, l’Hellas a menare le danze sbattendo ora sullo stinco di Goldaniga, ora sul petto di Gonzalez, ora sulle mani e persino sul piede di Sorrentino, eppure dalla panchina nessun cenno, nessuna indicazione. Squadra in autogestione, con i calciatori a darsi coraggio a suon di plateali esultanze dopo un intervento riuscito. Gladiatori nella città dell’Arena.

Articoli Correlati

Braccia conserte e sguardo fisso: Ballardini non-allenatore in un non-luogo lontano anni luce dal “Bentegodi”. Eppure il tecnico più che carnefice appare vittima. Di una situazione allucinante. Professionalmente giustiziato e riportato in vita nel giro di poche ore; posto nuovamente sull’altare senza alcuna fiducia. Funzionario senza potere per scongiurare la vacatio, ma solo nella forma. Non certo nella sostanza. Il torto da attribuire al tecnico ravennate può essere quello di non aver respinto il rientro per assenza di alternative. Sarebbe stato il caso di dire no, per una volta. Anche al prezzo di dimissioni che lo avrebbero riabilitato al cospetto di un popolo rosanero che non si è mai identificato con l’allenatore ravennate, in questa sua seconda parentesi alle dipendenze della società di viale del Fante. Ben altra cosa il primo avvento, e non solo sul piano dei risultati, in questo momento importanti sino a un certo punto.

Se bisogna individuare un responsabile, quello non può che essere Maurizio Zamparini. Presidente decisionista a colpi di emotività, di riflessioni che possono portare a sentenze a breve termine. Mandati tolti e riconsegnati, dichiarazioni sopra le righe capaci di sottrarre serenità e credibilità a chi lo affianca in quello che dovrebbe essere un lavoro certosino volto alla crescita del club. Un continuo delegittimare che, paradossalmente, delegittima solamente l’operato del patron. Adesso tocca a Guillermo Barros Schelotto. Viene da chiedersi se potrà essere l’uomo giusto per stemperare tensioni deleterie e guidare il Palermo verso una riconferma nella massima serie. Per poi operare una riflessione sul senso di scelte e comportamenti che, puntualmente, rischiano di mandare in frantumi quello che un tempo era un sogno a tinte rosanero. Si corre il rischio di tramutarlo nell’ennesimo incubo di una terra già di suo martoriata.

Pubblicato il

11 Gennaio 2016, 12:44

Condividi sui social