15 Maggio 2017, 16:06
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PALERMO – È vero che la droga era stata trasportata con una nave, ma neppure il più autorevole degli sceneggiatori avrebbe potuto immaginare il percorso che ha fatto l’inchiesta. Da Catania a Palermo, poi di nuovo nel capoluogo etneo e infine a Roma. Una vicenda giudiziaria segnate dalle competenze territoriali.
Il 13 marzo i finanzieri di Catania arrestato Antonino Lupo, fratello del boss di Brancaccio, Cesare. È lui, dicono gli investigatori, il “signore che vuole quella ottima”. E cioè la cocaina stipata in un contanier sequestrato nel porto di Salerno. Saremmo in presenza di un incredibile errore. Gli spedizionieri avevano caricato la merce sulla nave sbagliata: “Digli al signore che la mia gente sta mandando 100 per sbaglio che invece di mandarli a Palermo lo stanno facendo a Salerno”. Così scriveva Vincenzo Civale, originario di Frosinone e in contatto con i grossisti sudamericani, a Lupo: “E invece hanno sbagliato nave e l’hanno caricato su una nave che arriva a Salerno mercoledì della prossima settimana… ci sono dentro 100 che erano per noi”. Versione contestata dalla difesa di Lupo, secondo cui la paradossalità della vicenda, smentirebbe il ruolo dell’indagato.
L’inchiesta parte da Catania, ma Lupo è palermitano. Dunque la competenza del primo interrogatorio è del giudice per le indagini preliminari del Tribunale del capoluogo siciliano. Giudice che, correttamente, eseguiti i doveri d’ufficio, trasmette gli atti a Catania. È qui che è nata l’inchiesta mettendo gli occhi sulla “Pregi di Sicilia”, una ditta che si occupa di import-export di frutta esotica, usata come copertura da Lupo.
Solo che il primo reato contestato alla presunta banda era stato un altro affare e non il carico da 110 chili. Qualche mese fa, infatti, era andato a buon fine un altro viaggio. A Ciampino, dunque in provincia di Roma, 9 chili di cocaina erano stati occultati mescolandoli nel carbone vegetale. Era la merce per un test di prova. Civale era stato localizzato in Sicilia per “organizzare” l’arrivo dei “chimici” colombiani, i quali si sarebbero dovuti occupare del “recupero” della sostanza stupefacente sintetizzata”. Sembrerebbe che alla fine non se ne fece nulla per la difficoltà dell’operazione.
Ora l’inchiesta dovrebbe essere finalmente approdata alla meta finale, e cioè al Tribunale di Roma davanti al quale inizierà la trafila dei ricorsi al Riesame.
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15 Maggio 2017, 16:06