08 Aprile 2022, 15:23
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PALERMO – Maggio 2019. Un medico del reparto di Chirurgia toracica del Policlinico presenta un querela. Ha lavorato a fianco di Gaspare Gulotta, che prima di andare in pensione ha diretto l’unità operativa complessa di Chirurgia generale dell’ospedale universitario di Palermo.
Le parole del chirurgo Calogero Porrello svelano l’esistenza di un sistema di cui tutti conoscono la forza tentacolare, ma che nessuno denuncia. Il racconto parte dall’attività extraospedaliera di Gulotta che avrebbe violato le regole del lavoro intramoenia. Invece di ricevere i pazienti al Policlinico li visitava nel suo studio privato a Santa Margherita Belice, in provincia di Agrigento. Avrebbe intascato i soldi per le visite in nero e poi dirottava i pazienti al Policlinico, sia per i ricoveri che per eseguire alcuni esami specialistici.
I suoi clienti privati avrebbero ottenuto una corsia preferenziale per scavalcare le liste di attesa. Lo stesso medico aggiunge un ulteriore tassello. Parla di concorsi “farsa” per lavorare al Policlinico, decisi a tavolino da Gulotta con altri professori.
Ce n’è abbastanza per avviare l’inchiesta, sfociata negli arresti e nelle misure interdittive notificate stamani da carabinieri del Nucleo anti sofisticazione. I carabinieri del Nas hanno piazzato telecamere e microspie in ospedale.
Il giudice per le indagini preliminari Donata Di Sarno, accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto Sergio Demontis, parla di “quadro a dir poco sconfortante”. Lo studio di Gulotta “lungi dal costituire avamposto di tutela della salute degli utenti” è diventato “una specie di salotto privato”, nel quale il direttore “spadroneggia, impunito, creando logiche di sistema illegali”.
È emerso un quadro ancora più “inquietante” di quello tracciato dal medico nella sua denuncia. Innanzitutto sul controllo dei concorsi. Gulotta si sarebbe messo d’accordo con Mario Adelfio Latteri, colui che ne avrebbe preso il posto dopo il pensionamento. Vigeva la regola del “fifty fifty, uno a uno, uno lo piazzi tu e uno lo piazzo io”.
Sono cinque i concorsi del 2019 e 2020 finito sotto inchiesta. Gulotta avrebbe potuto contare sulla complicità di altri professori e membri delle commissioni. “Tu ti pigghi quattro amici”, diceva Gulotta a proposito dei commissari. L’esito del concorso era scontato. Bisognava solo attendere i tempi burocratici prima di potere urlare, come diceva Vittori Altomare, uno degli indagati, a Latteri: “Finalmente habemus papam”.
Gulotta non si nascondeva, sapeva di potere contare su commissari di esame compiacenti: “Dopo i fatti di Catania (c’è stata un’inchiesta anche lì) oggettivamente io il primo ho parlato con il rettore. Ho detto: è bene che facciamo il regolamento di Ateneo perché effettivamente anche i nostri concorsi sono truccati… se il posto tocca a me da associato propongo quattro nomi, quattro grandi amici di sui se n’è sorteggiano due dov’è la legalità di questo… c’è un sorteggio su quattro nomi proposti da me”.
Le intercettazioni hanno fatto emergere la “voracità” di Gulotta. Quella raccolta dai nastri magnetici viene considerata una confessione: “… ogni volta che si è liberata una nicchia io mi ci sono infilato sempre… ogni volta che c’è stata una cosa Covid io mi ci sono infilato. Ho fatto un concorso e ho cercato di piazzare sempre pensando ai miei, alla famiglia. Ho fatto un concorso al pronto soccorso e ho cercato di infilare i miei, la famiglia, tutto quanto, ogni volta che ho avuto un piccolo spazio ho cercato di andarlo a occupare per i miei, per i miei figli (Eliana e Leonard Gulotta sono entrambi indagati), sempre nel cuore e così via”.
Prima dei concorsi Gulotta si dava appuntamento con i commissari al ristorante per mettere a punto le strategie. La verità è che, leggendo le intercettazioni, il malcostume dei baroni esiste da decenni. Gulotta fa rifermenti continui ai concorsi del passato, tutti o quasi decisi a tavolino, “secondo i voleri dei professori più influenti, che decidevano a priori chi dovesse vincere”.
Giocavano con un mazzo di carte truccate e i più meritevoli sono rimati indietro. Il sistema era in vigore a Palermo, come a Messina, Catania, Napoli o Roma. Sia per i i concorsi che per le abilitazioni internazionali che servivano per fare carriera.
Per fare vincere i concorsi ai “raccomandati” avrebbero manipolavano i punteggi. Li chiamavano “guantiere di pesche” o cassate” che bisognava sistemare in fretta perché, come diceva Giuseppe Navarra, “altrimenti le fragole diventano fradice”.
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08 Aprile 2022, 15:23