07 Maggio 2024, 16:02
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PALERMO – È il giorno delle richieste di pena. La Procura di Palermo chiede di condannare il deputato regionale Riccardo Gennuso a 7 anni di carcere, il padre Giuseppe a 6 anni e 8 mesi, Leonardo Burgio a 6 anni 4 mesi e Antonino Bignardelli anni 6 mesi 5 mesi.
Il processo ruota attorno alle presunte estorsione subite da alcune dipendenti della sala bingo nel rione Guadagna di Palermo, gestita dai Gennuso a partire dal 2015.
A denunciare i Gennuso, Burgio (socio della precedente gestione) e il sindacalista della Cildi Bignardelli, sono state tre ex lavoratrici che sarebbero state costrette a firmare una transazione con la quale rinunciavano a due terzi dei soldi della liquidazione.
Se non avessero firmato l’accordo, ed ecco la presunta minaccia, i lavoratori avrebbero subito la riduzione dell’orario di lavoro da nove a tre ore al giorno “in modo che non avrebbero più potuto sostenere le loro famiglie”.
Burgio e Bignardelli sono imputati anche per truffa: avrebbero fatto credere “con artifizi e raggiri” ai dipendenti che la società stava per dichiarare fallimento. L’unica speranza per loro era rinunciare a una parte dei soldi.
La sala bingo è la stessa per la quale l’onorevole avrebbe subito la richiesta di pizzo dai mafiosi. “Non ho denunciato per non mettermi contro un altro clan di Palermo. Oggi lo sto facendo e forse la prossima volta non posso neanche venire in città”, disse il deputato di Forza Italia in aula durante l’esame.
“O pagavo o non so cosa mi succedeva. Avevo paura per me e la mia famiglia”, aggiunse durante la testimonianza. Gennuso aveva deciso assieme ai familiari di spostare i propri interessi da Rosolini, in provincia di Siracusa, a Palermo. La trattativa interessò il vecchio proprietario del Bingo Magic, Leonardo Burgio, allora sindaco di Serradifalco (è figlio di Daniela Faraoni, manager dell’Asp di Palermo).
Secondo i tre dipendenti, Riccardo Genusso li avrebbe costretti a firmare dietro minaccia: “O bevete o affogate, non troverete mai più lavoro altrove, troverete tutte le porte chiuse”. Gennuso respinse le accuse: “Minacce? Sono stato io vittima di estorsioni, mi hanno ammazzato i cani, mi hanno inseguito sotto casa (il riferimento è alla vicenda dell’altro processo). Non ho detto quelle frasi. Io non minaccio nessuno figuriamoci se lo facevo con l’ex compagna di un boss e ora compagna di un altro boss, un certo Serio”.
Il riferimento era alla relazione fra una dipendente e il capomafia di Porta Nuova, detenuto, Alessandro D’Ambrogio. La parola passa ora alle difese.
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07 Maggio 2024, 16:02