PALERMO – L’assoluzione in sede penale ha fatto venire meno l’ipotesi che Giuseppe Ferdico fosse colluso e socialmente pericoloso. C’è questo alla base della revoca della confisca definitiva dei beni stimati in 100 milioni di euro. I due giudizi, penale e patrimoniale, erano inconciliabili.
I beni di Ferdico e i pentiti
La Procura della Repubblica aveva ipotizzato che dietro la scalata imprenditoriale di Ferdico ci fosse un patto con le potenti famiglie mafiose Galatolo e Fontana dell’Arenella e dell’Acquasanta. Si disse che era stata Cosa Nostra, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, a spingere la scalata del “re dei detersivi”. A parlarne erano stati i collaboratori di giustizia Angelo Fontana, Vito Galatolo, Francesco Onorato, Maurizio Spataro.
Altri pentiti (Maurizio Spataro, Francesco Giuseppe Briguglio, Gaspare Pulizzi, Manuel Pasta, Marcello Trapani) spostarono in avanti nel tempo le collusioni fino agli anni 2000. In particolare, con le famiglie mafiose del mandamento di Tommaso Natale e Carini quando il potere era nelle mani di Salvatore Lo Piccolo e Vincenzo Pipitone.
Tale collusione, secondo i giudici della prevenzione, “aveva implicato quel comportamento funzionale agli interessi della consorteria mafiosa e quel nesso di sinallagmaticità tra la consorteria e gli interessi del privato, che costituiscono l’elemento coessenziale alla nozione di appartenenza ad associazione mafiosa”.
Ferdico assolto in sede penale
Gli avvocati Roberto Tricoli e Luigi Miceli hanno contrastato questa impostazione, facendo notare che la contiguità mafiosa di Ferdico era stata esclusa nel processo in cui era stato assolto dall’accusa di concorso esterno con la più ampia delle formule “perché il fatto non sussiste”
La conclusione a cui giunsero i giudici penali è che Ferdico “era stato verosimilmente imprenditore vittima di estorsione, atteso che plurimi e certi sono gli elementi indicativi del fatto che si dovesse mettere a posto mentre vaghi, generici e ambigui sono gli elementi nel senso di eventuali vantaggi sinallagmatici derivanti al Ferdico da quei medesimi rapporti con cosa nostra”.
Collaboratori di giustizia non credibili
È la credibilità dei collaboratori di giustizia che è venuta meno. Angelo Fontana aveva raccontato di avere investito una grossa somma di denaro nelle attività di Ferdico. Non aveva, però, saputo offrire dettagli e si era anche contraddetto sul numero degli incontri che avrebbe avuto con l’imprenditore. Dalle modalità da lui ricostruite era più probabile che Ferdico fosse stato vittima di usura piuttosto che avesse riciclato denaro sporco.
La credibilità di Fontana era per altro già stata messa in discussione quando si era autoaccusato falsamente di avere partecipato al fallito attentato all’Addaura ai danni di Giovanni Falcone. Anche l’investimento di cui aveva parlato Vito Galatolo, alla luce dell’elevato tasso di interesse sborsato da Ferdico, si presterebbe alla ipotesi alternativa dell’usura.
Galatolo aveva dichiarato che i capitali illeciti della sua famiglia erano stati investiti nelle attività del Ferdico grazie all’opera di Angelo Galatolo che tuttavia è stato assolto dalle accuse di riciclaggio.
Ed ancora: Maurizio Spataro disse di avere appreso da Salvatore Di Maio (in altra occasione aveva precisato di averlo saputo da Giovanni Bonanno), che sarebbe stato inscenato un “finto” furto о
rapina ai danni di Ferdico (bottino da 70.000 euro) per giustificare in qualche modo l’esborso di denaro destinato ai Lo Piccolo. A che titolo: messa a posto o aiuto economico al potente boss? Le indagini non hanno portato ad individuare la causale.
Vittima e non colluso
Notizie vaghe che non hanno retto al vaglio dei giudici. Non sono stati trovati i riscontri necessari. Al contrario i collaboratori di giustizia hanno finito per contraddirsi. Il nome di Ferdico compariva anche in alcuni pizzini di Lo Piccolo.
Sul contenuto i giudici di Caltanissetta, che hanno revoca la confisca al termine del processo di revisione, scrivono che si tratta di “dati non univocamente indicativi di una disponibilità nei riguardi di esponenti anche di spicco di Cosa Nostra del predetto, assunto rimasto incerto е che non consentiva di sciogliere il dubbio sul fatto che lo stesso fosse imprenditore vittima, disponibile alle richieste di Cosa Nostra (anche in termini di assunzione di personale) per timore di subire un danno e non nella prospettiva di trarre vantaggi o di ricambiare vantaggi già ricevuti”. Da qui la revoca della confisca dei beni di Giuseppe Ferdico, accogliendo la revisione chiesta dagli avvocati Roberto Tricoli e Luigi Miceli.

