01 Maggio 2022, 06:15
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Ormai abbiamo perso il conto. Di quante volte qualcuno ha detto: ora ci siamo e poi è stato smentito. Di tutti i sorrisi di plastica pubblici, contraddetti dall’azzannarsi in privato. Degli oroscopi impregnati di ottimismo che adesso riposano nel cimitero politico dei rimpianti. Dei comunicati fraterni, seguiti da note belligeranti. Della parola ‘unità’, sminuzzata, esposta, sotterrata, riproposta. Ormai abbiamo perso il conto di tutte le facce del centrodestra che, a Palermo, gioca la partita del sindaco. Ma, siccome esiste un’aritmetica della decenza, non possiamo non riconoscerlo: il modo in cui la coalizione sta affrontando la difficile vertenza di Palazzo delle Aquile è il peggiore possibile e si sta traducendo in uno schiaffo alla città.
No, non è colpa di Francesco Cascio e di Roberto Lagalla (qui il riassunto delle ultime puntate) divisi dalle scommesse dei capicorrente. Sono due persone che ci credono sinceramente, che credono, cioè, di potere dare una mano. E stanno vivendo la sfida in una condizione di lacerazione.
Il centrodestra palermitano\siciliano tutto sembra tranne che un ambiente in cui edificare orizzonti comuni e pacifici. Nessuno, chiacchiere a parte, sta costruendo il sentiero di tutti. Però, la politica dovrebbe essere il luogo dell’incontro; vedere, esattamente, il suo contrario rappresenta un problema per tutti, perfino oltre sigle e appartenenze.
Non si può non dirlo: che brutto lo show del centrodestra, avviluppato in contraddizioni che poco hanno delle idee e molto delle ripicche, delle vendette, della fame per il potere. Il dibattito, infatti, non riflette progetti, nella diversità degli accenti, che sarebbe una ricchezza. Siamo al Musumeci sì, Musumeci no, allo sgambetto, a Miccichè che sta simpatico o antipatico, alle fazioni che si contendono il territorio… E, se troveranno un accordo, cosa possibilissima, non sarà per una improvvisa redenzione, ma soltanto perché qualcuno avrà, improvvisamente, una concreta paura di lasciarci, politicamente, le penne.
Eppure, fuori dai corridoi e della stanze in cui gli accordi si raggiungono per essere stracciati, c’è una città vera e dolente che attende risposte. E la coalizione che promette di salvarla, che soffia sul fuoco della damnatio dell’Orlandismo, e che predica l’impegno della concordia, non riesce a presentarsi con un volto unitario. Chiamano Palermo alle armi incruente della rivoluzione, alla redenzione da se stessa, all’abbandono delle divisioni e non sono in sintonia nemmeno per un caffè. Per questo, comunque vada, hanno già perso.
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01 Maggio 2022, 06:15