20 Gennaio 2013, 11:38
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Che Dybala, ragazzi e che cuore la nostra sbrindellatissima squadra! Da riaccendere le speranze, che sembravano, almeno per me, svanite per sempre quando ho letto che il Palermo aveva deciso di cedere anche Budan: “Ma come – mi son detto – non abbiamo attaccanti in servizio effettivo (tranne Dybala, ch’è un ragazzino e Miccoli, che ha uno, dieci, centomila acciacchi, che non gli consentono di disputare due partite di fila) e tu che fai? Ti liberi dell’unico “ariete” che possiedi, come fosse zavorra, e invece è uno che onora sempre la maglia?”.
E per la prima volta nella vita sono andato allo stadio con lo spirito di chi vi è quasi trascinato di forza: la forza della passione, l’unica cosa rimastami. Per il resto, marciavo verso il “Barbera” come in trance, la testa altrove, nel tentativo disperato se non patetico di non pensare a quello che mi aspettava: una Lazio vicecapolista, forte e volitiva, intenzionata a prendersi i tre punti per non perdere di vista la testa della classifica. Ad un certo punto mi son messo a parlare da solo, ma non sottovoce – e che piacere ci sarebbe?- ma quasi urlando, tanto che i tifosi (tanti, stavolta) che facevano la mia stessa strada (la lunga dritta e interminabile via Sampolo) si giravano a guardarmi e alcuni a commentare salacemente: “A chistu u Paliermu già su jucò… Mischinu!”. Ma io, imperterrito, avevo trovato l’escamotage per sopportare il lungo martirio che era per me ieri pomeriggio la via Sampolo: canticchiare, parlare, farmi delle domande e rispondermi da solo. Una che mi trivellava il cervello era la seguente: “Ma questi ci vogliono restare in serie A, o lo dicono soltanto per tenerci buoni?”. E la risposta era sempre la stessa: “Mah, io comincio a dubitarne, perché se no come si spiega che Sorrentino, che pure è scappato da Verona, non è ancora arrivato a Palermo?”. E ancora (la strada è lunga e il tempo per arrivare allo stadio con le mie stanche membra non passa mai) : “Dice che Sartori vuole, oltre ai soldi, anche Kurtic e che il Palermo, invece, non glielo vuole dare. Se è così, non posso non pensare che la cosa è trubola (leggi, sospetta), perché a noi serve come il pane un portiere affidabile e Sorrentino lo è. Quindi…”. C’è del marcio in Danimarca, direbbe Amleto.
E infatti che al Palermo deve – e sottolineo deve – arrivare un signor portiere (con tutto il rispetto per il buon Ujkani) se vogliamo cominciare a parlare seriamente di salvezza, si è avuta la conferma, subito, a partita appena iniziata: lungo lancio verticale di Ledesma nel cuor della difesa rosa, Aronica fuori posizione, palla sulla testa di Floccari che la colpisce come può: ne vien fuori una “colombella” che lascia di stucco Ujkani e va a morire sotto la traversa. 10’ e già 1-0 per la Lazio. A quel punto ho cominciato a pensare: qui finisce a goleada, ma mi sbagliavo perché tutto lo stadio – meglio la curva Nord e, in parte, anche la Sud – hanno letteralmente tirato su la squadra, “costringendola” a reagire. E si è vista la Lazio, la grande Lazio, lo squadrone dei vari Ledesma, Hernanes, Marchetti, rinculare sotto la furia dei rosanero, che forse non erano ben registrati tra loro, ma lottavano su ogni palla, guidati più col cuore e l’esempio che con la corsa, gli scatti e i dribbling, dal loro capitano. Più fumo che arrosto, l’offensiva rosa del primo tempo, ma non così nella ripresa, quando Gasperini ha tolto Aronica per Munoz e a centrocampo, là dove nasce il gioco, cominciavano a giostrare come si deve i vari Kurtic, Rios, Ilicic e, soprattutto, nella sua fascia di destinazione, Dossena. La Lazio rinculava ancora di più ed era la nostra fortuna perché ogni volta che si affacciava nella nostra metà campo, io tremavo di paura. Specialmente quando la palla finiva tra i piedi di quell’artista del pallone che è il brasiliano Hernanes. Un forcing furioso, più di cuore che di testa, ma che paralizzava la Lazio, la faceva rinculare sino alla sua area piccola e cominciavano a fioccare i cross, specie dalla fascia sinistra, dove finalmente – andato via Balzaretti – abbiamo di nuovo un vero specialista: Andrea Dossena, che già non lo fa rimpiangere, perché è un giocatore vero, di quelli che il suo sa farlo egregiamente. Dossena mette al centro una serie di traversoni, che sembrano trancianti e la difesa della Lazio comincia a traballare, ma lì dietro sono tutti forti, a cominciare da qual Biava che non era nessuno quando anni fa arrivò a Palermo ed oggi, a trentasette anni suonati, è ancora uno dei più forti “centrali” della serie A.
Sull’ennesimo cross dell’ex napoletano finalmente nell’area laziale c’è un buco, nel quale da dietro si infila quello che non ti aspetteresti mai, data la sua cadenza invero non frenetica: Rios. Sì, Rios, un altro che la società ha (meglio dire: avrebbe) deciso di sbolognare al miglior offerente: gli basta toccare quella palla ed è gol. Il pareggio, l’1-1 inseguito da un’ora affannosamente e che già ai più disfattisti sembrava ormai impossibile. D’altronde, quante volte il Palermo era passato in svantaggio senza riuscire a recuperare? Un’infinità di volte e, quindi, costoro cinicamente si chiedevano: e deve riuscirci proprio stavolta, contro la difesa più forte della serie A? Certo, in teoria, il ragionamento non fa una grinza, ma che c’entra il ragionamento quando parliamo di passione, di cuore, ovverosia di calcio e dei suoi impenetrabili misteri? Perché il calcio è lo sport più amato tra tutti gli altri, pur bellissimi e affascinanti? Perché contiene in sé, nel suo scrigno segreto, un mistero insondabile: è l’unica disciplina nella quale il più scarso, almeno una volta, può battere il più forte della compagnia. E ieri ha rischiato di farlo il nostro amatissimo e sbrindellatissimo Palermo contro, se non la più forte, la numero due del campionato, la Lazio. Infatti, subito dopo il pareggio di Rios ecco arrivare, come una folgore celeste, il gol di Dybala, più meritato che mai, non solo dal Palermo ma da lui stesso, che era stato il migliore in campo. E chi gli offre su un piatto d’argento il pallone del 2-1? Il suo capitano. Che momenti, ragazzi, mi stava scoppiando il cuore dalla felicità. E così ai tifosi che hanno fatto tremare tutto lo stadio con i loro canti e i loro cori: “C’è un capitano, c’è solo un capitano…”. Una festa, finalmente, dopo mesi di amarezze. Poi arriva il pareggio su rigore e finisce 2-2 e quello che poteva essere un sabato indimenticabile si rassegna a diventare solo “un bel sabato”. Che può dare i suoi frutti se là dove si decidono le sorti della squadra capiranno che un portiere e un attaccante sono la condizione irrinunciabile per tentare l’ardua scalata che porta alla salvezza. Lo capiranno?
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20 Gennaio 2013, 11:38