10 Gennaio 2023, 06:48
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PALERMO – Era il 10 gennaio 1991, sette mesi prima di essere ucciso da Cosa Nostra, Libero Grassi inviò al Giornale di Sicilia una “lettera al caro estortore”. Prima di lui nessuno si era ribellato al pizzo. Il 29 agosto lo assassinarono in via Vittorio Alfieri, a Palermo.
“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”, scriveva l’imprenditore.
A firmare un articolo sulla “resistenza” di Libero Grassi fu Francesco Foresta che anni dopo, prima di lasciarci prematuramente il 10 gennaio 2015, fondò Livesicilia. Una “lettera” e un articolo che segnarono una frattura, uno spartiacque fra ciò che la Sicilia era e ciò avrebbe potuto e dovuto essere.
Due decenni dopo la ribellione smise di essere individuale. Il tentativo di renderla collettiva passò anche dall’impegno del comitato Addiopizzo, che tappezzò Palermo di manifesti con la scritta “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Cosa resta di quel movimento culturale, è davvero penetrato in profondità? Ci sono tantissimi segnali in direzione contraria.
La mafia non è più quella di ieri. Sono cambiate le dinamiche e con esse anche il fenomeno delle estorsioni. Non si paga solo per paura, ma anche per connivenza e convenienza. Ed è per questo che Addipizzo lancia una proposta: “Una legge che inibisca l’accesso ai bonus fiscali agli imprenditori edili che pagano le estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa nostra”.
“Sebbene ci sia ancora chi continua a pagare, va evidenziato che oggi la scelta di opporsi alle estorsioni è possibile e non ha nemmeno bisogno del clamore mediatico a cui fu costretto, suo malgrado, Libero Grassi – spiegano dal Comitato – I processi, celebrati negli ultimi due decenni grazie al lavoro di magistrati e forze dell’ordine e con l’ausilio di reti sociali di supporto, raccontano infatti che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di commercianti e imprenditori che si sono opposti a Cosa nostra e che dopo tale scelta sono riusciti a proseguire la loro attività economica in condizioni di normalità”.
Centinaia di denunce a fronte di un fenomeno divenuto endemico. Ci sono zone della città dove il pizzo è la regola. Si paga, e in silenzio, persino per vendere birra, pane e panelle nelle feste di borgata. Una fetta di città assiste insensibile ai continui blitz, come se fossimo ancora fermi a quel tragico 1991.
La narrazione va aggiornata perché “oggi a differenza del passato il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza – aggiungono dal comitato antiracket -. Emergono a più riprese relazioni di contiguità tra molti che pagano senza remore le estorsioni e la criminalità organizzata. Si tratta di commercianti e imprenditori che operano in settori come quello dell’edilizia e che in cambio del pizzo pagato chiedono al medesimo taglieggiatore di scalzare concorrenti, recuperare crediti e refurtive, dirimere controversie con i dipendenti e risolvere problemi di vicinato. C’è anche chi paga e non denuncia perché appartiene a Cosa nostra o perché il pizzo lo corrisponde al proprio cugino o genero, che è l’estorsore del rione”.
Siamo di fronte ad “una variante degenerativa del fenomeno estorsivo che è sempre esistita ma che rispetto al passato ha assunto una dimensione dominante. Una relazione tra molti operatori economici e l’associazione mafiosa che produce un danno alla collettività e che sovraespone gravemente chi trova la forza e il coraggio di opporsi al racket delle estorsioni”.
Da qui la proposta: “Uno dei settori dove bisogna volgere lo sguardo e l’attenzione è quello dell’edilizia, sul quale negli ultimi anni si è puntato con l’investimento di decine di miliardi di euro sotto forma di bonus fiscali per rimettere in moto l’economia del Paese a seguito dell’esplosione della pandemia. Vogliamo rivolgerci a Governo e Parlamento perché riteniamo maturi i tempi per l’adozione di norme che inibiscano l’accesso a tali misure a quelle imprese che pagano le estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa nostra”.
Si tratterebbe di estendere una norma, introdotta nel 2009, sul cosiddetto “obbligo di denuncia” per chi contrae con la pubblica amministrazione. L’obiettivo è scardinare “quelle relazioni di acquiescenza connivente che alterano il mercato e la libera concorrenza a danno di operatori economici perbene e cittadini consumatori finali”.
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10 Gennaio 2023, 06:48