Cronaca

“Mi hanno fregato, mi sentivo sicuro”: il boss racconta la fine della latitanza

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10 Dicembre 2024, 07:00

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PALERMO – Si sentiva “troppo sicuro” nel suo covo in una palazzina malandata. Per la latitanza il boss Giuseppe Auteri aveva scelto un piccolo appartamento “sudicio, mica una villa” per non dare nell’occhio. Ed invece “mi hanno fregato”.

Il mafioso di Porta Nuova racconta la fine della latitanza ai parenti che sono andati a trovarlo in carcere. I carabinieri lo hanno arrestato lo scorso marzo in via Giuseppe Recupero, una stradina nella zona di via Oreto. Ritengono che avesse preso in mano il bastone del comando dell’intero mandamento che ingloba la parte centrale della città.

“Come hai fatto a rinunciare a noi a tutto questo, a quello che avevamo noi?”, gli chiede la nipote. “Non è che io non volevo, vi volevo vedere – spiega Auteri – però talmente io rimandavo… mi sembrava tipo un rischio… rimandavo, rimandavo, magari a Natale tento di vederla, vabbè a Pasqua magari ci passo dalla scuola… capito”.

“Perché hai sacrificato la tua vita così, tu avevi a noi”, insiste la nipote che sembra rimproverarlo. “Mettiamo che iniziò per gioco”, risponde il boss che durante il colloquio paragona la sua vita mafiosa ad un gioco virtuale.

La parente lo mette di fronte alla realtà, alla sua vita in carcere e al rischio di rimanerci a lungo perché “ti mettono come capomandamento”. Un’accusa che renderebbe pesante la condanna, considerando i precedenti penali.

Un rischio che il mafioso, a giudicare dalle sue parole, ha messo nel conto: “E con quel foglio se lo interpretano così che vuoi fare… pazienza (si riferisce alla contabilità che i carabinieri hanno trovato al momento dell’arresto ndr)…”. Non gli interessano gli anni di carcere (“nove o dieci o diciotto”) di un’eventuale condanna, ma “è più importante voi ora, la vita normale… allora debiti non ne ho”.

La nipote lo incalza: “Ma se tu hai detto che era come un gioco virtuale non c’è la possibilità di fermarsi… quindi l’unico modo per fermarsi era questo… perché tu avresti sempre pensato di avere cosa da fare”.

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La risposta è un trattato mafioso. Di chi si compiace di essere stato riconosciuto da un altro detenuto che neanche conosce (“Ma vedi poco fa mi ha chiamato uno… mi conosceva ma io non l’ho mai visto), di chi sceglie di essere un mafioso (“volevo vivere sta cosa diciamo tra virgolette in libertà. Mi sentivo nel mio senza che qualcuno mi poteva trovare capito che voglio dire… ma non trovare per sfuggire chissà da che cosa”).

“E non hai potuto tornare indietro?”, continua a ripetere la nipote cercando di capire se lo zio avesse un’altra possibilità di scelta. La risposta è tranciante: “E che fai… vai là e dici mi siddiò”. No, non si può tornare indietro.

Alla madre Auteri racconta il momento dell’irruzione dei carabinieri del Nucleo investigativo. “Hanno buttato la porta a terra, a colpo sicuro”. Si è “un pochino spaventato” perché “subentrano un po’ mille pensieri, mille cose, la pistola l’avevo per me, per difesa mia personale”.

Quando ha capito di non avere via di fuga ha cercato di disfarsi dei cellulari (“Li ho tirati dal secondo piano e non si sono distrutti”) e dei fogli con la contabilità (“Li ho afferrati da dentro il bagno, li ho presi e li ho tirati dal terzo piano… il tempo che mi sveglio capisti bam bam (imita il rumore dell’ariete con cui i militari hanno sfondato la porta ndr)… li hanno presi nel pozzo luce dove li ho tirati… la pistola manco mi interessava”).

Le sue sono parole amare: “Mi hanno fregato, mi sentivo troppo sicuro dico perché il posto capisti sudicio mica era una villa. Mi sentivo troppo sicuro onestamente, ero nel mio mondo tipo virtuale capisti….troppo sicuro, troppo sicuro. Per non disturbare nessuno, perché onestamente c’era da cambiare però pazienza ormai”. Si rammarica di non avere cambiato rifugio quando poteva farlo.

“Una chiamata fu”, il parente ipotizza una soffiata. “Comunque cosa fu fu ora pensiamo che io sono qui e voi belli sistemati ormai come si dice sono la voce del passato. Pazienza ormai”, conclude il boss.

“Del passato? Del presente e del futuro”, dice la nipote. Nel presente e nel futuro, invece, ci sono le indagini della Procura che sta decriptando la contabilità con gli affari della droga e del pizzo. E bisogna ricostruire la rete dei fiancheggiatori.

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10 Dicembre 2024, 07:00

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