Cronaca

Mafia di Porta Nuova: contabilità, killer liberi e la “testa” che comanda

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07 Ottobre 2024, 06:00

5 min di lettura

PALERMO – Quanta droga si consuma nella vecchia Palermo che la notte trabocca di gente? Tanta, troppa. A governare il mercato degli stupefacenti è la mafia, avida di quel denaro di cui ha bisogno per recuperare prestigio e potere.

Capo, Vucciria, Borgo Vecchio Ballarò sono sotto il controllo del mandamento di Porta Nuova dove si verifica uno degli inevitabili fenomeni con cui si misurano gli investigatori: la scarcerazione dei boss.

Dalla droga bisogna partire per cercare di fare una mappa della mafia di oggi, mandamento per mandamento perché la struttura di Cosa Nostra non è cambiata. Il viaggio di Livesicilia comincia da Porta Nuova che ingloba la parte centrale della città.

I soldi della droga

La cocaina viene venduta dai pusher palermitani. Il lavoro sporco – lo spaccio di eroina e crack – viene affidato per lo più agli extracomunitari. Per hashish e marijuana non c’è differenza. Girano parecchi soldi, ma per gli approvvigionamenti a Porta Nuova sono costretti, almeno per ora come nel resto della città, a bussare alla porta dei calabresi e dei campani.

Agli affari della droga rimandano, sembrano esserci pochissimi dubbi, gli appunti trovati nel covo di Giuseppe Auteri rimasto latitante un anno e mezzo prima di essere arrestato fuori zona, in una traversa di via Oreto.

Quando i carabinieri lo hanno scovato nella piccola casa aveva una pistola, un cellulare e dei fogli di carta. Per il possesso dell’arma clandestina, un revolver calibro 35, la Direzione distrettuale antimafia ha chiuso subito le indagini e chiesto il giudizio immediato. Una questione di minore importanza, dunque, da separare da tutto il resto su cui si continua a indagare.

I misteri del latitante

Le memoria del cellulare, i tabulati, gli spostamenti e quei fogli con cifre e lettere (sembrano le iniziali di nomi puntati puntati rimanderebbe alla rete di contatti e alla contabilità della droga. Auteri, 48 anni, si è fatto largo a Porta Nuova. Fra le prime cose messe a verbale da Alessio Puccio, divenuto collaboratore di giustizia, c’erano le confidenze ricevute da Giuseppe Incontrera, boss morto ammazzato.

Quando Auteri è uscito di galera nel 2020, si è deciso che “doveva rimanere ‘serbato’ (conservato, nel senso di riservato ndr) cioè di non farsi notare in giro con altre persone”. Perché era “impegnato in una cosa molto importante”. Di più non gli è stato detto. Era un semplice soldato.

Auteri era in fuga da settembre 2021, ben prima che nel luglio 2022 divenisse ufficialmente latitante. Ad aprile 2020 aveva scalato le gerarchie in concomitanza con la scarcerazione di Tommaso Lo Presti, detto “il lungo” per distinguerlo dal cugino omonimo, soprannominato “il pacchione”, uno degli scarcerati per fine pena.

Per un periodo Auteri affiancò Incontrera, nella gestione della cassa. “Li devi segnare, vedi, io me li sto segnando”, diceva Incontrera ad Auteri. Cifre, dunque, ma con meno zeri rispetto a quelle segnate nei fogli trovati nel covo.

Incontrera non era felice di lavorare al fianco di Auteri. “I soldi di Ballarò… sta facendo perdere tutto, il pazzo”, si sfogava con la moglie Maria Carmela Massa. Ne aveva discusso con il reggente Giuseppe Di Giovanni e quest’ultimo si era rivolto in maniera sprezzante nei confronti di Auteri: “Gli fai buttare il sangue”.

Eppure nel gennaio 2021 sarebbe avvenuto, su disposizione di Lo Presti, il definitivo passaggio di consegne della cassa del mandamento dalle mani di Incontrera (“Mi sto allibertando a tutti”) a quelle Auteri, che era ormai latitante. L’arresto di Giuseppe Di Giovanni gli spianò la strada.

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Gli scarcerati

Nel frattempo le cose sono cambiate. Auteri è stato acciuffato e Di Giovanni scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il presunto capomafia, fratello dei boss Gregorio e Tommaso, è liibero ma costretto a trasferirsi in Calabria per rispettare le indicazioni del Tribunale.

Chi invece ha finito di scontare la pena senza più restrizioni sono i componenti della famiglia Milano (Nunzio e Salvatore su tutti), Francolino e Antonino Spadaro, figli del re del contrabbando, don Masino della Kalsa.

Gli Spadaro sono molto amici di un altro pezzo grosso della mafia, Giuseppe Calvaruso di Pagliarelli, finito di nuovo nei guai giudiziari e capace di muovere capitali in Brasile.

Gli omicidi irrisolti

Recenti sentenze confermano che a Porta Nuova non bisogna smettere di monitorare gli scarcerati perché tornano spesso al loro posto di comando. Oppure alzano la voce e creano fibrillazioni. C’è un processo in corso per l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo: unico imputato Onofrio Lipari che giura di non averlo commesso.

E ci sono pure due delitti senza colpevoli. Il 23 maggio 2017 è stato assassinato l’anziano boss Giuseppe Dainotti in in via d’Ossuna, alle 8 mentre era in bicicletta. È stato affiancato da uno o due uomini in sella ad uno scooter.

Una sola telecamera inquadrava la strada. Ha filmato la ruota di uno scooter Honda Sh, che si allontanava in direzione del Papireto. E si vedeva pure una scarpa da tennis. Del killer, però, gli invesigatori potrebbero possedere il Dna. Sull’asfalto c’era una traccia di saliva mista a sangue che non appartengono alla vittima. Dainotti potrebbe avere pagato con la vita la voglia di tornare a comandare dopo anni di carcere.

Irrisolto è anche l’omicidio di Davide Romano, il cui corpo fu ritrovato il 6 aprile 2011, in via Michele Titone, una strada residenziale nella zona di corso Calatafimi. Era dentro il bagagliaio di una Fiat Uno parcheggiata al centro della carreggiata. Nudo, mani e piedi legati, e un colpo di pistola alla nuca.

Era un picciotto del Borgo Vecchio che scalpitava per farsi largo tra le nuove leve della mafia. Silenzio assoluto per alcuni anni. Poi nel 2015 si pente Francesco Chiarello. Racconta che Romano sarebbe stato torturato e giustiziato in un magazzino alle spalle del nuovo Palazzo di giustizia di Palermo.

Un altro pentito, Vito Galatolo dell’Acquasanta, tira in ballo un altro pezzo grosso di Porta Nuova. “Lo zio Pietro è stato, Calogero Lo Presti… comprava la droga fuori dalla borgata”, litigavano “per il prezzo della droga ed aveva risposto male a Lo Presti”. Dice che glielo avrebbe raccontato un amico. Nell’uno e nell’altro caso nessun riscontro. E gli omicidi restano irrisolti.

La “testa” è fuori

Ogni tanto c’è chi sussurra frasi che rimandano ad un mondo sommerso. Qualche tempo fa era scoppiata una lite furibonda fra due famiglie mafiose del Borgo Vecchio. Gli Ingarao da una parte i Monti dall’altra. Qualcuno pensava di chiedere l’intervento della “testa”. La “testa” era e forse è il capo.

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07 Ottobre 2024, 06:00

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