Palermo, la ristoratrice e il pizzo: "Non è stato Di Giovanni"

Il boss, il messaggio e il pizzo. La ristoratrice: “Non è stato Di Giovanni”

È la moglie del titolare di una nota trattoria

PALERMO – L’abbreviato era condizionato all’audizione delle presunte vittime del pizzo. I titolari di una nota trattoria della vecchia Palermo sono venuti in aula e hanno spiegato che ricevettero una richiesta estorsiva ma ad avanzarla non fu il presunto capomafia di Porta Nuova, Giuseppe Di Giovanni.

Sotto processo c’è anche Giuseppe Auteri, che del mandamento sarebbe stato il reggente durante il periodo di latitanza. Il capo di imputazione relativo a questa estorsione è solo uno dei tanti contestati. A cominciare da quello di associazione mafiosa.

Il ristoratore aveva ricevuto una caparra di 500 euro per il pranzo del battesimo di un nipote del mafioso Giuseppe Incontrera, assassinato alla Zisa nel 2022. Il ricevimento era stato annullato a causa delle restrizioni anti Covid. La moglie del ristoratore aveva restituito i soldi in due tranches. Poi qualcuno si presentò nel locale per chiedere il pizzo: mille euro per mettersi a posto.

Da chi era partita la richiesta? La squadra mobile acquisì un messaggio inviato dalla donna nel dicembre 2021: “Ciao son la moglie di… abbiamo bisogno di aiuto, ci ricattano, vogliono il pizzo, mille euro entro stasera senò ci fanno del male… Giuseppe Di Giovanni con la sua squadra del capo e piazza incastrone (piazza Ingastone ndr)”.

Dunque il mandante sarebbe stato indicato in Di Giovanni. Da qui la richiesta degli avvocati Giovanni Castronovo e Rosanna Vella di abbreviato condizionato alla convocazione della donna. È stata sentita come testimone davanti alla sezione del Tribunale presieduta da Roberto Murgia.

Ha spiegato che il nome di Di Giovanni fu il frutto di una sua deduzione. Aveva letto sul giornale le notizie sul suo ruolo all’interno di Cosa Nostra. Non lo ha né visto, né incontrato. Non lo conosce e nessun altro si presentò a riscuotere il pizzo.

Di Giovanni sta assistendo a piede libero al processo. È stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, lui che dagli altri indagati veniva definito un “pilastro della mafia”. Ha il divieto di dimora in Sicilia, Calabria e Campania. Libero per fine pena è anche il fratello Tommaso, che di Porta Nuova è stato il capomandamento proprio come il terzo fratello, Gregorio, che invece è detenuto.


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