Palermo, il welfare di Cosa Nostra: vecchi e nuovi boss al potere

Palermo, welfare di Cosa Nostra: vecchi e nuovi boss al potere

Le relazione della Dia sui mandamenti del capoluogo siciliano

PALERMO – Non c’è una “struttura di raccordo di comando al vertice”. I boss dei mandamenti palermitani cercano alleanza nel tentativo di resistere agli attacchi dello Stato e mantenere posizioni di potere. La relazione che la Direzione investigativa antimafia ha consegnato al parlamento si concentra sul secondo semestre del 2021. Fotografa quanto è emerso nelle recenti inchieste.

LEGGI LA PARTE DELLA RELAZIONE DEDICATA ALLA MAFIA A CATANIA, MESSINA E CALTANISSETTA

La commissione provinciale di Cosa Nostra non si riunisce nell’interezza dei suoi rappresentanti dal 1993, anno in cui arrestarono Totò Riina. C’è stato un vertice, importante ma parziale, nel 2018 su cui hanno fatto luce la Direzione distrettuale antimafia e i carabinieri del Comando provinciale.

Sin da allora era chiaro che “la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà. Per la città di Palermo infatti numerose sono le scarcerazioni di importanti boss per espiazione della pena o perché posti in libertà vigilata ovvero agli arresti domiciliari”.

Agli anziani si affiancano “giovani criminali che forti di un cognome o parentela di spessore vanno a ritagliarsi nuovi spazi territoriali e criminali in funzione di supplenza di boss detenuti. Tale situazione potrebbe generare incomprensioni tra la vecchia e la nuova generazione”.

Un quadro di incertezza in un contesto di forte degrado cittadino. Risulta infatti che “dalle indagini è emerso come gli uomini d’onore abbiano rafforzato la funzione sociale al fine di mantenere il controllo del territorio di riferimento ed allargare la base del consenso”.

La mafia controlla la vita delle borgate. Dall’organizzazione delle feste di quartiere allo spaccio di droga, dal via libera all’apertura di nuove attività commerciali all’eliminazione della concorrenza (il caso di due barbieri è emblematico): i mammasatissima si sostituiscono allo Stato. Ed è questa la perenne emergenza sociale. La mafia straccione è ancora l’anti Stato.

Gli investigatori lo definiscono “welfare mafioso, rappresentato dal sostegno attivo nei confronti di famiglie, esercenti e imprenditori in crisi di liquidità utilizzato da cosa nostra al fine di recuperare o accrescere il proprio consenso sul territorio, soprattutto durante le fasi della pandemia da covid-19”.

Il pizzo serve per controllare il territorio, ma le casse della mafia si rimpinguano con i soldi della droga e delle scommesse. Per il traffico di stupefacenti vengono siglati “accordi inter-mandamentali”. Si ricorre ad un “prestito di manovalanza” tra i vari mandamenti palermitani.

E persino fra etnia diverse: il lavoro sporco dello spaccio di eroina, ad esempio, viene affidato alla comunità nigeriana. Palermitani e nord africani si tollerano a vicenda. Le ‘ndrine calabresi confermano il loro ruolo di grossisti, ma si registrano contatti con i Casamonica di Roma e i fornitori campani.

Altra fonte di guadagno sono le scommesse clandestine. C’è un giro sotterraneo di riciclaggio di soldi sporchi, schermato dall’apertura di agenzie legali spuntate come funghi. C’è “l’esistenza di una forte compenetrazione tra l’attività dell’organizzazione mafiosa cosa nostra – si legge nella relazione – e la gestione e distribuzione sul territorio delle sale gioco e scommesse in seno alle quali, quotidianamente, si muove una mole di denaro, spesso sottratta a qualunque forma di controllo legale e fiscale, di non facile quantificazione, che va a rimpinguare significativamente le casse della associazione mafiosa fino a diventarne la più cospicua fonte di reddito degli ultimi anni”.


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