Palermo, il copia e incolla salva i beni del boss Bonura

Palermo, le società del boss Bonura “salve” per il “copia e incolla”

Il boss Franco Bonura
Considerate la "cassaforte" immobiliare del mafioso del rione Uditore
le motivazioni
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PALERMO – Il “copia e incolla” salva, almeno per il momento, i beni del boss dell’Uditore, Franco Bonura. Lo scorso fine febbraio il Tribunale del Riesame ha dissequestrato tre società: Florens srl, Ad Astra srl e Vb Immobiliare srl.

Ora si conoscono le motivazioni. Il collegio ha dichiarato nullo il sequestro per un difetto di motivazione. Il giudice per le indagini preliminari si sarebbe limitato a ribadire la ricostruzione della Procura della Repubblica.

Il sequestro era stato disposto a fine gennaio, contestualmente a 19 arresti per mafia. L’elenco si apriva con il nome dell’anziano boss Bonura. Gli avvocati della difesa, Alessandro Reale e Teo Calderone, avevano contestato la decisione del Gip sia nel merito che da un punto di vista procedurale. Ritengono che non si tratti di imprese mafiose intestate a prestanome, e avevano rilevato anche un difetto di motivazione nel sequestro preventivo.

Ed è questo il punto che ha portato, nei giorni scorsi, all’annullamento del provvedimento. Inizialmente esisteva solo la Florens Srl, in seguito ad una scissione furono costituite le altre due srl che gestiscono una settantina di appartamenti.

“Florens che sarebbe il signor Franco”, diceva un impiegato. Secondo la ricostruzione del pubblico ministero Giovanni Antoci, il riferimento era a Bonura. Il vecchio boss, dopo che la titolarità era passata ai nipoti, spiegava: “… non c’è una cosa che se non ci fossi stati io non si sarebbe perfezionata“. Da qui l’accusa che le società fossero state avviate con soldi mafiosi.

Che ci fosse la regia di Bonura sarebbe emerso anche dal passaggio in cui il boss diceva: “Io i miei fratelli li ho tenuti sempre… più riservati… ma quello che ha dato la botta io sono stato… a mio nipote chi è che lo ha messo nel mezzo… secondo me gli sembra che sono ancora in galera… quando non ci sono più io…l’unica difesa che se ne va dai carabinieri… questo solo…”.

Per la Procura di Palermo tanto bastava per disporre il sequestro dei beni oltre all’arresto del mafioso tornato a gestire affari e potere dopo oltre vent’anni trascorsi in carcere. Poi, il dissequestro e la restituzione delle tre società.

“Il Gip si è limitato a riportare in maniera pedissequa il contenuto della richiesta del pubblico ministero, ivi recepita tramite la tecnica del copia e incolla delia richiesta cautelare – scrive il Riesame nella motivazione depositata nei giorni scorsi – contenenti le ragioni per cui le dette imprese dovevano, ad avviso della pubblica accusa, ritenersi confiscabili (in particolare ‘dalle indagini sarebbero emersi elementi indicativi della circostanza che tali attività economiche fossero inquinate da risorse di provenienza delittuosa che hanno determinato una contaminazione irreversibile dell’accumulo di ricchezza, rendendo impossibile la distinzione tra capitali leciti e illeciti”.

Le società, considerate la cassaforte immobiliare del boss, al momento sono “salve”. Sono state dissequestrate, ma la Procura può impugnare il provvedimento.


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