Palermo, la strage di Capaci e quei saltimbanchi della giustizia

Capaci 33 anni dopo, il dovere della memoria oltre la palude dei fantasmi

Il nuovo depistaggio sulla pista nera

PALERMO – Il filo giudiziario va seguito con cura per evitare di restare impelagati nella palude dei fantasmi. Trentatré anni dopo la strage di Capaci le ricostruzioni si popolano di saltimbanchi e avventurieri della giustizia in cerca di uno strapuntino di notorietà.

Alcuni sono stati smascherati dalle indagini. Un anno fa, ad aprile 2024, ma la notizia fa clamore oggi nei giorni della commemorazione dell’attentato, il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta Santi Bologna ha archiviato, su richiesta della stessa Procura, l’inchiesta sulla cosiddetta “pista nera”. Ne è scaturito un nuovo processo per depistaggio.

A volte è l’eco mediatica a spingere le piste investigative che a nulla approdano. “Nella fase ideativa ed esecutiva della strage del 23 maggio 1992 non ci fu il coinvolgimento di soggetti collegati ad ambienti della destra eversiva tra cui il noto Stefano Delle Chiaie, uno dei fondatori della formazione politica ‘Avanguardia nazionale’”, sostiene la Procura nissena diretta da Salvatore De Luca. E il Gip concorda.

La pista nera tiene banco da decenni. Il risultato è sempre lo stesso. Gli investigatori smascherano “macroscopici errori”. Per grandi linee si può dire che esistono due indagini sulla matrice nera. Una riguarda la strage di Capaci e l’altra quella di via d’Amelio.

Si è scandagliato il mondo di Stefano Delle Chiaie, un fantasma che aleggia da anni sulla strage di Capaci, alla luce dei ricordi fuori tempo massimo di un carabiniere in pensione, Walter Giustini, e di Maria Romeo, ex compagna del collaboratore di giustizia, Albero Lo Cicero. Il primo ora è imputato per depistaggio e la seconda per avere reso false dichiarazioni ai pm.

Giustini si è ricordato di Delle Chiaie all’improvviso. Prima non c’era traccia nei verbali di Lo Cicero, nel frattempo deceduto, alla cui redazione aveva partecipato lo stesso Giustini.

“Le indagini svolte non solo non hanno consentito di rinvenire alcun elemento di riscontro alla cosiddetta pista nera ma hanno pure fatto emergere la totale inattendibilità e addirittura la falsità delle dichiarazioni rese da soggetti – si legge nella tranciante richiesta di archiviazione – che avrebbero dovuto consentire di acquisire elementi sia pure del relato, essendo la fonte primaria Lo Cicero Alberto deceduta, in relazione a questa pista nera”.

Tra i tanti viaggi ai confini della realtà e della memoria dei testimoni – ricordano fatti e misfatti in Tv ma se ne dimenticano davanti ai pm – basterebbe citare due episodi emblematici. Nel 2016 il neofascista Alberto Stefano Volo, che sarebbe deceduto quattro anni dopo, raccontò ai magistrati Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo di aver incontrato Paolo Borsellino dopo la strage di Capaci. Lo aveva cercato disperatamente e alla fine ottenne un incontrò nel corso del quale il giudice gli avrebbe confidato che non c’era la mafia dietro la strage.

Scese nei dettagli, Borsellino la pensava alla stessa maniera di Volo. “Secondo me ripeto sarà presunzione, sarà pazzia – gli avrebbe detto – ma secondo me Giovanni è caduto su questa strada”. E cioè la pista nera, altro che “bottoncino” pigiato da Brusca per fare saltare in aria l’autostrada.

I pubblici ministeri e il Gip non ce lo vedono proprio Borsellino nei panni di “un magistrato sprovveduto” che riferisce “le proprie impressioni in ordine alla responsabilità della strage di Capaci a un mitomane come Alberto Volo”.

Maria Romeo riferì della sua relazione con Alberto Lo Cicero. Insieme, così mise a verbale, tra le tante cose avevano partecipato alla festa per la cresima del figlio del boss Mariano Tullio Troia. Cosa accadde? Che Totò Riina – la donna lo avrebbe riconosciuto dopo avere visto le foto il giorno dell’arresto – si inchinò per fare il baciamano a Troia.

Un particolare “grottesco, degno di un’ambientazione cinematografica, di un film di Cipria e Maresco“, lo definiscono i magistrati.

Giusto per inquadrare il personaggio. Maria Romeo disse di avere aspettato dietro la porta nel corso di un incontro fra Borsellino e Lo Cicero. Ai pm spiegò che era durato al massimo 10 minuti, in Tv ha parlato di cinque ore, dalle 19:00 a mezzanotte.

Fosse dipeso dalla Procura di Caltanissetta sarebbe stata archiviata anche la seconda indagine, quella sui mandanti esterni e neri dell’eccidio di via D’Amelio. Il Gip di Caltanissetta Graziella Luparello ha respinto due richieste di archiviazione che la Procura ha riproposto per la terza volta dopo avere eseguito un supplemento di indagini. C’è, però, l’opposizione dei Salvatore Borsellino e il Gip si è riservata la decisione se archiviare le indagini sulla ricerca di eventuali mandanti esterni nell’attentato in cui morirono Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.

Il Gip aveva indicato cinque filoni investigativi. Il capitolo sulla pista nera ruotava attorno alla figura di Paolo Bellini, ex di Avanguardia nazionale. Il risultato è lo stesso: niente prove. La Dda di Caltanissetta continua a lavorare su altre piste. Si concentra sul dossier mafia-appalti, sulla sparizione dell’agenda rossa di Borsellino e sui rapporti tra esponenti dei servizi segreti e massoneria.

Si continua a indagare pure “sul possibile coinvolgimento di uomini politici nel tempo dalla strage”, ma c’è il più stretto segreto istruttorio.

Nel frattempo – in attesa di una nuova suggestione investigativa o di un’inchiesta giornalistica – oggi è il giorno del doveroso ricordo del sacrificio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.


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