29 Giugno 2024, 07:12
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PALERMO – “Paura? Certo che ho paura, ma la voglia di dare un segnale alla nuove generazioni è più forte. La mia, di generazione, non riuscirà a debellare questa gente. Ci riusciranno i nostri figli, ma noi dobbiamo avere dato l’esempio”.
Nessun tentennamento, né ora né quando l’uomo del pizzo si presentò nel cantiere edile. La decisione di denunciarlo “è stata spontanea”.
Le parole dell’operaio sono dirette. Bisognerebbe stamparle e distribuirle nelle scuole. Una lezione di vita, oltre che di impegno. Il sudore e la fatica rendono saggi.
Il collega che ha fatto la stessa scelta aggiunge un ragionamento altrettanto chiaro. Senza orpelli o equilibrismi linguistici: “Lo abbiamo fatto anche per il nostro datore di lavoro. deve pagare ciò che è giusto: i fornitori, gli operai, non di cero i mafiosi”.
L’uomo del pizzo si presentò in cantiere chiedendo di parlare con il datore di lavoro. O pagava oppure doveva smontare le impalcature. È andata diversamente: il lavoro è stato ultimato e l’esattore arrestato e condannato.
Per la prima volta gli operai si sono costituiti parte civile in un processo. Al loro fianco in ogni fase c’è stato Addiopizzo con Daniele Marannano, uno dei più attivi e storici animatori del comitato, e l’avvocato Salvatore Caradonna.
Vent’anni fa il comitato antiracket tappezzava la città di adesivi per denunciare l’indegnità di un popolo che paga il pizzo. Oggi gli operai si costituiscono parte civile: di strada ne è stata percorsa parecchia.
Circa trecento operatori economici negli ultimi vent’anni hanno denunciato gli uomini del racket grazie al lavoro di Addiopizzo. Un numero che però va moltiplicato tante, troppe volte per avere il quadro esatto di chi in città paga in silenzio.
“I processi, celebrati negli ultimi due decenni grazie al lavoro di magistrati e forze dell’ordine e con l’ausilio di associazioni realmente operative – spiega il presidente di Addiopizzo Raffaele Genova – raccontano che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di operatori economici che si sono opposti a Cosa nostra e che dopo tale scelta sono riusciti a proseguire la loro attività economica in condizioni di normalità”.
“Tuttavia c’è ancora chi paga le estorsioni e non denuncia perché ricerca, più che subisce, la ‘messa a posto’ – aggiunge Marannano – in un contesto che non è di intimidazione e di paura ma di connivenza e convenienza. Per queste ragioni va aggiornata l’analisi e la narrazione sul fenomeno estorsivo e soprattutto sulla circostanza che chi paga e non denuncia non è sempre una vittima”.
C’è un processo in corso con 31 negozianti sotto accusa perché hanno sempre negato, anche di fronte all’evidenza di alcune intercettazioni, di avere pagato o ricevuto la visita degli esattori del racket. Rischiano la condanna. La loro scelta non sarebbe stata condizionata, sempre e solo, dalla paura.
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29 Giugno 2024, 07:12