13 Marzo 2022, 20:03
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PALERMO – Si torna a sparare e a uccidere a Palermo. L’omicidio di giovedì sera, a Brancaccio, ci mette di fronte, ancora una volta, al volto violento e peggiore della città.
I carnefici sono uomini e donne, giovani e non. Giovanissimo è Alessandro Sammarco che ad appena 20 anni ha assassinato Natale Caravello, che di anni ne aveva 46. In lui ha visto il responsabile della mancata relazione – nella cui esistenza era il solo a credere – con la figlia. Un ostacolo da abbattere a colpi di pistola. Sarebbe questo il movente, anche se è ancora presto per tirare le somme.
La ricerca del movente, necessaria ai fini investigativi, obbliga a misurarsi con la certezza che per alcuni la vita degli altri vale zero. Sono storie di collera, di giustizia fai da te, di futili motivi che scatenano reazioni violente. Non si possono archiviare in fretta con la parola follia. La follia è una patologia, di mezzo c’è l’incapacità di intendere e volere che è delicata materia processuale, oltre che clinica.
Al contrario si assiste spesso alla piena consapevolezza di chi impugna la pistola. Le cronache sono piene di episodi di sangue. Sangue dappertutto c’era nel 2019 tra i padiglioni dello Zen dove Giovanni Colombo crivellò di colpi Antonino e Giacomo Lupo, padre e figlio. Confessò di avere sparato per una “taliata laria”, uno sguardo di troppo che Colombo aveva rivolto alla compagna di Francesco Lupo, figlio e fratello di Antonino e Giacomo Lupo. “O morivano loro o morivo io”, aggiunse.
Pietro Seggio, pochi mesi dopo, di colpi ne avrebbe sparato solo uno, ma alla testa, per uccidere il suo spacciatore Francesco Manzella, trovato cadavere dentro la sua macchina non lontano dal carcere Pagliarelli.
Il 31 maggio 2021 un video immortalò Matteo Romano mentre faceva fuoco contro Emanuele Burgio alla Vucciria. Gli assassini spesso vivono al fianco dei mafiosi o nei contesti della criminalità non organizzata, ma non per questa meno pericolosa. Crescono con il disvalore della prevaricazione. Si nutrono del mito di mafiosi che hanno seminato morte e orrore prima di finire in carcere fino alla fine dei loro giorni.
Armarsi per vendetta diventa mostruosamente normale. Come nel caso di Calogero Pietro Lo Presti e Fabrizio Tre Re che ammazzarono il fruttivendolo Andrea Cusimano fra le bancarelle del Capo. Tutto iniziò per una stupida lite e un ceffone di troppo.
La violenza, però, esplode anche laddove non te l’aspetti. E per questo lascia ancora più sgomenti. Come nel caso di Mario Di Fiore, ex muratore che nel giugno 2015, assassinò a colpi di pistola il benzinaio Nicola Lombardo, a piazza Lolli, a Palermo. Fece fuoco perché il prezzo della benzina gli era sembrato tropo caro.
Sgomento lascia il caso di Alessandra Ballarò, la giovane che, il 7 ottobre del 2017, al culmine dell’ennesima lite sparò ai suoi vicini in piazzetta Caruso, all’Arenella, uccidendo Leonardo Bua e ferendo gravemente il fratello Giuseppe.
Altre volte il movente non si scopre. Resterà nella mente dell’assassino. Come per Carlo Gregoli che nel 2016, in via Falsomiele, uccise a colpi di pistola Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela. Non si saprà mai perché sono stati ammazzati.
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13 Marzo 2022, 20:03