Palermo, "agguato a Brancaccio", c'è un complice - Live Sicilia

Omicidio a Brancaccio: ‘È stato un agguato’, si cerca un complice

Il fermo non viene convalidato, ma l'assassino resta in carcere.

PALERMO – È stato un agguato. Alessandro Sammarco avrebbe agito con premeditazione. Il giudice non crede alla versione del ventenne che sostiene di avere sparato perché temeva di essere ucciso. L‘incontro con la vittima, Natale Caravallo. non è stato stato casuale. Sammarco avrebbe mentito e forse qualcuno lo ha aiutato a fare sparire la pistola. C’è un complice a cui dare un volto e un nome.

Il giudice per le indagini preliminari Giuliano Castiglia non convalida il fermo perché non ritiene ci sia il pericolo di fuga, ma ordina che Sammarco resti in carcere per la gravità dei fatti, perché potrebbe commettere altri efferati delitti e inquinare le prove. Gli viene contestato l‘omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.

“È del tutto incredibile che l’omicidio sia stato commesso per paura – scrive il giudice – o per rendere preventivamente inoffensivo Natale Caravello”.

In presenza del suo legale, l’avvocato Corrado Sinatra, il ventenne ha risposto per circa tre ore alle domande del giudice nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto.

Quello avvenuto in via Pasquale Materia sarebbe stato un agguato. Lo confermerebbe la dinamica ricostruita dagli investigatori della squadra mobile – l’uomo è stato colpito alle spalle nella zona del torace – e il fatto che Sammarco girasse armato di una pistola comprata “appena prima” da un tunisino a Ballarò.

Erano entrambi in sella a uno scooter. Sammarco, così ha riferito, avrebbe fatto fuoco senza prendere la mira quando ha creduto che Caravello stesse estraendo una pistola per ucciderlo. Un gesto non premeditato, ma dettato dalla paura: è questa la linea difensiva. Una questione di non poco conto quando arriverà il momento di stabilire quale pena merita il ventenne.

La sua paura deriverebbe dagli avvertimenti ricevuti dalla figlia di Caravello, la quale lo aveva messo in guardia. Se avesse continuato a infastidirla il padre lo avrebbe ucciso. I familiari della vittima hanno raccontato che Sammarco arrivò a minacciare la ragazza di sfregiarla con l’acido.

Il gip è tranciante. Definisce le dichiarazioni di Sammarco “contraddittorie, lacunose, incoerenti, incostanti, inverosimili, del tutto prive di credibilità”. Lo dimostrerebbe il suo atteggiamento nel corso dell’interrogatorio con “degli elementi forse genuini e poi si è contraddetto”. Ad esempio “quando ha detto di avere chiamato il fratello non appena raggiunto, dopo l’omicidio, a Ballarò, riferimento poi ritirato”.

Stessa cosa quando “ha fatto riferimento agli acquisti e scambi di armi in armeria anch’essi immediatamente ritirati o corretti”.

Del suo racconto, aggiunge il giudice, non ci si può fidare: “Ha fatto sparire l’arma del delitto e il proprio telefono cellulare. Ha utilizzato l’arma con freddezza, precisione ed efficacia”. Non è vero, come ha detto, che la pistola è stata “buttata, bensì debitamente occultata da chi ha commesso il delitto o da qualche suo favoreggiatore”. Dunque potrebbe essere stato aiutato nelle fasi successive al delitto.

Sammarco ha ribadito di avere avuto una relazione con la figlia della vittima. Circostanza smentita dai familiari di Caravello sia agli investigatori della Mobile che con interventi sui social. Sammarco non solo l’ha confermata, ma ha aggiunto altri particolari.

La relazione sarebbe iniziata due anni fa e dopo un periodo di allontanamento, di recente, i due ragazzi si sarebbero riavvicinati. Il ventenne non avrebbe mai parlato personalmente con Caravello. Anzi sarebbe stato lui stesso a dire alla figlia di essere disposto ad incontrarlo, anche in presenza dei suoi genitori, per sistemare le cose.

Le cose non sono state messe a posto. È finita nel peggiore dei modi. Con tre colpi di pistola sparati contro un uomo di 46 anni, assassinato a Brancaccio. Secondo il pm Giancluca De Leo e il giudice Giuliano Castiglia, è stato un agguato. Sammarco sta solo cercando di evitare il peggio quando arriverà il momento di giudicarlo in un processo.

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