02 Dicembre 2022, 17:16
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PALERMO – Sul banco dei testimoni sale la figlia della vittima. L’udienza in Corte di assise è scandita dal dolore e dalle lacrime. In aula ci sono i parenti di Natale Caravello, assassinato a Brancaccio da Alessandro Sammarco.
Sammarco, 20 anni, reo confesso, ha detto di aver fatto fuoco perché temeva che Caravello, 46 anni, gli facesse del male. La vittima non avrebbe gradito la presunta relazione sentimentale tra l’assassino e la figlia. Temendo una reazione violenta da parte di Caravello, il giovane avrebbe deciso di fare fuoco.
La ragazza in aula smentisce, come aveva già fatto la famiglia, in maniera categorica di avere avuto una relazione con l’imputato. Quest’ultimo aveva frainteso, immaginando un rapporto che non c’era, divenendo ossessivo. Addirittura la seguiva, localizzandone gli spostamenti grazie ai social. Qualche tempo prima del delitto, così ha riferito in aula, la ragazza avrebbe chiesto al padre di “liberarla” da una presenza oppressiva.
Sammarco, difeso dall’avvocato Corrado Sinatra, che lavorava nella bottega di alimentari del nonno a Ballarò, ha sparato alle spalle di Caravello, operaio della Reset, mentre si trovavano entrambi in sella ad uno scooter.
Nel corso dell’interrogatorio disse che si era casualmente incrociato con al vittima intorno alle 20. Caravello scendeva giù dal marciapiede con il suo scooter, mentre Sammarco seguiva il senso di marcia della strada.
“Ho ho visto che metteva la mano nel borsello e ho avuto paura che mi stesse per sparare anche perché la figlia mi aveva detto che suo padre voleva uccidermi”, ha riferito il ventenne. Ha fatto fuoco con una calibro 22 “che ho comprato 600 euro da un tunisino a Ballarò”.
Girava armato perché teneva per la sua vita oppure come sostiene la Procura, rappresentata in aula dal pubblico ministero Salvatore Leopardi, aveva programmato l’omicidio con premeditazione?
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02 Dicembre 2022, 17:16