PALERMO – “Mi dichiaro colpevole”, inizia con queste parole l’interrogatorio di Gaetano Maranzano. Sono le 18:44 del 12 ottobre scorso e l’assassino di Paolo Taormina è seduto davanti ai pubblici ministeri Maurizio Bonaccorso e Ornella Di Rienzo. Confessa, ma alcuni passaggi del suo racconto sono smentiti dalle telecamere e dal racconto dei testimoni. Si guarda bene dal fare i nomi di chi era con lui al pub nella strada di fronte al Teatro Massimo.
È ondivago quando parla della pistola, ma soprattutto insiste nel ripetere che non era sceso da casa per uccidere il figlio ventenne dei titolari del pub. Il suo è stato un momento di rabbia. Insiste su un movente tutto da chiarire: gli apprezzamenti rivolti dalla vittima alla moglie.
Le prime risposte sono alle domande di rito: “Nazionalità italiana, residenza anagrafica in via Costante Girardengo 15, disoccupato, convivente, titolo di studi licenza elementare, sottoposto a precedenti penali”.
“Sono partito dallo Zen da solo”
Poi entra nel dettaglio dell’omicidio commesso nella notte fra sabato e domenica scorsi: “Sono andato lì (al pub “O Scruscio” di via Spinuzza ndr) per una semplice serata, con amici. Sono partito da solo dallo Zen con una macchina di cui non ricordo il modello poiché ero un po’ divertito, avevo bevuto”.
La macchina di chi era? “Era di un amico di cui non intendo riferire il nome. A me nessuno mi ha prestato la macchina, sono partito da casa con amici. Sono andato al locale con amici di cui non intendo rispondere circa le loro generalità (dunque non era da solo, ma taglia corto sull’identità delle persone che gli stavano accanto ndr)”.
Perché sono andati in quel locale? “Non è stata una scelta, andiamo dove c’è confusione. Sono sceso alle 9 o alle 10 e sono stato giù da me allo Zen. Poi durante la notte verso le ore 2.00 o le 2.30 ci siamo recati presso questo locale”.
“Ha disturbato mia moglie”
Cosa è successo al pub? “È successo che io l’avevo in mente, in quanto precedentemente questo ragazzo (la vittima ndr) ha disturbato mia moglie attraverso i social. Ci voleva provare tramite i social”.
L’aveva già visto? “No, quella era la prima volta. Ho saputo dai vari articoli sui social che era il figlio del
proprietario del locale. Lui voleva fare lo scaltro, si voleva far notare dalle persone che stavano li. Gli scriveva (alla moglie ndr) con profili falsi, poi ho saputo che era lui. Gli scriveva con profili falsi sui social quasi tutti, tipo TikTok o Instagram”. A riferirglielo sarebbe stata la stessa moglie quattro mesi fa.
“Mi voleva sfidare”
Poi torna a raccontare la scena del delitto: “Siccome lui era in difetto con me mi guardava male e si agitava, nel suo cervello mi voleva sfidare. Mi diceva non si deve fare casino. I ragazzi facevano casino e lui giustamente l’ho saputo dopo che è successo la cosa, è venuto a prendere di petto a me”.
“In più io avevo astio con lui per la cosa di mia moglie. Mi sfidava. Parlava verso di me diceva ‘qua non si deve fare vucciria mi state siddiando’ – aggiunge – mi voleva mettere in cattiva luce davanti alle persone, pur sapendo che io…”.
E poi cosa ha fatto? “Visto che lui mi voleva far fare male figura, gli ho detto non mi stuzzicare perché lo sai che ce l’ho con te. Lui se n’è fregato e mi parlava in maniera agitata, mi ha rimproverato. Dopo pochi
minuti di colluttazione gli ho sparato”.
“Gli ho sparato alla testa”
Poi ci tiene a precisare che “io non ero sceso per lui. Poteva finire con una scazzottata per quello che mi aveva fatto. Ma visto che lui mi ha rimproverato non ci ho visto più e gli ho sparato in testa”.
Ed è sceso da casa con la pistola? “Sì l’avevo io, con quello che si sente in giro”. La pistola la teneva a casa? “No, non intendo rispondere. Sono sceso da casa, dopo sono andato a prendere la pistola perché sapevo che dovevo farmi un giro a Palermo centro. lo non esco senza”.
Dove ha colpito il ragazzo? “In testa (dice mentre si tocca la tempia, ma il colpo è stato esploso alla nuca ndr) “. A che distanza era? “A circa tre metri (poi precisa che la distanza era inferiore, ma il video lo smentisce, ha appoggiato la pistola alla nuca di Paolo Taormina ndr). C’erano diverse persone ma eravamo sul marciapiede e non c’era il rischio di prendere altre persone”.
“Mi sono fatto accompagnare allo Zen”
E gli amici? “Sono scappati. Stavano facendo altro. Erano con ragazze o bevevano, erano con amici. Me ne sono andato allo Zen. Mi sono fatto accompagnare da una persona che era lì”. Chi è? Non intendo rispondere. Ero con una macchina, forse una Peugeot nera, sono andato subito a casa (altra contraddizione, era una Lancia Y ndr)”. E gli altri? “Non lo so”. Dov’era parcheggiata la Peugeot? “A poche centinaia di metri. Non so di preciso poiché non conosco la destra e la sinistra”.
“Faceva il gradasso”
Poi gli fanno un’altra domanda sul momento in cui Taormina esce nella veranda esterna del locale: “Quando ha sentito la confusione di ragazzi o di stereo ad alto volume lui è uscito e si è messo a fare il gradasso. Ho visto che è uscito e si è messo a fare il gradasso davanti alle persone”.
Nel video si vede che un suo amico ha preso a schiaffi un altro cliente che indossa un gilet: “Io non c’ero. C’ero ma non l’ho aggredito”. Sa chi è? “Non lo so, ha litigato con altri ragazzi. Io personalmente non l’ho aggredito. Non l’ha avuto con me il discorso. Ho visto la gente scappare e ho visto la confusione. Poi è uscito il ragazzo e si è messo a fare il gradasso, lo scemo”.
Quanto tempo è passato prima che facesse fuoco? “Questione di due secondi è stato il discorso. È successo questa cosa che c’è stata confusione, ha preso i ragazzi di mira. Poi si è voltato verso di me e si è messo a fare lo scemo, poi abbiamo litigato. Quindi non ci ho visto più e ho sparato. La pistola era nella tasca del borsello. Una calibro 9, ho esploso un colpo e poi ho buttato i colpi in una fognatura. Strada facendo mi sono fermato e li ho buttati in una fognatura. In canna c’era un colpo solo”. I tempi non coincidono con quelli scanditi dalle immagini. Il gesto è stato “fulmineo”.
“Mi trattava come un burattino”
Sempre su Taormina aggiunge: “L’ho visto la prima volta quando è uscito dal locale. Neanche sapevo che era figlio del titolare. L’avevo visto sui social, forse Instagram”. Non ha pensato che magari stesse sbagliando persona? “No, l’avevo studiato. Ero sicuro che fosse lui… mi trattava come un burattino. Ci sono modi e modi di parlare con le persone. Lui si agitava, prima con tanti ragazzi e poi nei miei confronti”. Per strada ha buttato anche gli occhiali (“per l’euforia”).
“Ci provava con mia moglie”
Il tema degli apprezzamenti alla moglie ritorna nelle domande dei pubblici ministeri: “Lui mandava messaggi a mia moglie con profili falsi”. Non può mostrarli “perché io li cancellavo”. Lo ha riconosciuto “da come parlava, una volta ha inviato anche una foto che si vedeva una sola volta ed io ero sicuro. Ci provava, faceva apprezzamenti. Se lo vedevo prima cercavo di chiarire. Ma lui mi ha preso di petto davanti a tutti. Allora sei scemo vero”.
L’assassino di Paolo Taormina e la pistola
Si torna a parlare della pistola. Dove l’ha presa? “Non intendo rispondere”. Non esce mai disarmato: “Sì troppe disgrazie. No paura, oramai scendere a Palermo ti devi guardare, un cocktail ti costa la vita”.
Quindi un riferimento ad un bacio dato a una ragazza. Prima nega, poi dice che non era la sua compagna. Infine non ricorda chi fosse. I pm insistono, vogliono sapere se “è stato preso a schiaffi o a calci dopo che ha sparato”. Maranzano risponde: “Le femmina si sfogavano e gli ho detto levatevi da davanti e andate via”.
Quando è arrivato a casa alla sua compagna ha “accennato che ero nervoso, dopo gli ho detto quello che era successo. La pistola era nuova e impacchettata, era la prima volta che la usavo”. Ha gettato via i proiettili lungo la strada, ma non la pistola perché temeva l’arrivo dei carabinieri: “Palermo è una squadra mobile piena di telecamere, in centro storico poi. lo ero già pronto. Quando sono venuti a casa ho consegnato subito la pistola”. Non si sbagliava.

