PALERMO – La ragazzina e il fidanzato si tengono per mano nell’aula del Tribunale per i minori di Palermo. Non si vedevano dal giorno in cui lui, 17 anni, è stato arrestato mentre lei, di due anni più piccola, è stata trasferita in una comunità. Hanno un figlio di pochi mesi.
Sono imputati per estorsione e per la morte del padre della giovane come conseguenza delle loro azioni. Chiedevano in continuazione soldi, offendevano l’uomo. Lo minacciavano e lo hanno condotto sul precipizio della disperazione fino al gesto estremo.
I due imputati, davanti al giudice per l’udienza preliminare Nicola Aiello e al pubblico ministero Francecso Grassi, si dicono pentiti per ciò che hanno fatto. Un ravvedimento e una rivisitazione critica contenuti anche nella relazione degli assistenti sociali e degli psicologi che li stanno seguendo. L’obiettivo degli avvocati della difesa, Salvatore Ferrante e Rosa Maria Salemi (che hanno chiesto l’abbreviato), è ottenere una messa alla prova come alternativa alla detenzione. I ragazzi possono essere rieducati nonostante la gravità dei fatti. Il processo è stato rinviato al prossimo luglio.
Le lettera di addio
“Che Dio abbia pietà di tutti noi“, c’era scritto nella lettera di addio trovata accanto al corpo. Il 21 marzo dell’anno scorso la nonna chiamò il nipote. Non riusciva a parlare con il padre. Non poteva più rispondere perché si era impiccato.
Prima di togliersi la vita il genitore di 48 anni aveva scritto due lettere e un testamento. Descriveva l’angoscia di un uomo che ha lottato prima di arrendersi, ma dalla figlia ha ricevuto solo disprezzo. Le interessavano i soldi, una piccola eredità di cinquemila euro della madre morta, specie dopo che era diventata mamma a soli quindici anni.
Il padre e le ragioni del suicidio
“Mi hai estorto non solo i tuoi soldi ma anche quelli dei tuoi fratelli, sei una brava manipolatrice tu e il tuo fidanzato, mi hai distrutto in tutte le maniere, vorrei sapere ma ormai è tardi cosa hai ottenuto a farmi gonfiare di botte, distruggermi la macchina, sputato, deriso, visto come un mostro – scriveva – te la devi vedere con Dio e portati per tutta la vita questo fardello, la mia morte, la distruzione della tua famiglia. Credimi scrivo con tanto dolore dentro. Ti ringrazio di tutto anche di non avermi fatto conoscere mio nipote. Vorrei perdonarti ma non ci riesco, non provo rabbia ma disprezzo, lo stesso disprezzo che hai per me grazie di avermi distrutto spero che Dio abbia pietà di tutti noi”.
Agli altri figli figli diceva: “La morte è una liberazione a cui sono costretto ad andare incontro mi si accusa pure di violenza, non la sopporterei questa vergogna perché sono innocente ma nessuno mi crederebbe”.
Accanto al corpo era stato trovato un testamento olografo: “A mia figlia lascio solo la quota di legittima, anche se non meritata, che la legge gli consente di avere”.
“Stiamo venendo, non lo fermo – scriveva la ragazza nei messaggi WhatsApp inviati al padre – se non mi dai i soldi quanto è vero Dio mi metto a inventare cose, ma così indegne che a te ti ammazzano vero, mi invento la qualsiasi pure che mi hai violentata, mettimi questi 264 euro ora”.
La figlia aveva un chiodo fisso: “Mettimi 10 euro, scrivi solo quando hai fatto”. Richieste di denaro che arrivavano anche a 500 euro. Soldi che il padre non aveva. Sarebbe stato il fidanzato a istigarla. Il denaro serviva per comprare la Playstation, rifarsi le unghie e le sopracciglia, pagare la rata del motorino.
Lacrime e pentimento
In aula la ragazzina racconta i suoi attuali sensi di colpa. “Dovevo capire che mio padre aveva bisogno di me, dovevo aiutarlo prima che accadesse tutto questo”, racconta mentre le scendono le lacrime. Il fidanzato descrive il suo tormento interiore: “Ho privato mio figlio della figura del nonno. Voglio essere un buon padre per lui”.
Questo è il cuore della questione. Secondo gli esperti, i due ragazzi hanno capito la gravità di ciò che hanno fatto. Se seguiti possono essere rieducati partendo dalla comprensione delle loro azioni.