Palermo, calvario per un’ernia | Il Policlinico deve pagare i danni

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01 Agosto 2016, 19:28

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PALERMO – Il primo intervento chirurgico non necessario, il secondo eseguito male, infine il terzo per mettere una pezza alla compromessa situazione clinica. Non più a Palermo, però, ma a Monza. Risultato: il Tribunale civile ha condannato il Policlinico palermitano a risarcire una ragazza con poco più di 100 mila euro. La vicenda è del 2010, ma la sentenza del giudice Sebastiana Ciardo è del 22 luglio scorso.

Questi i fatti: la paziente, che soffre di forti dolori lombari, si ricovera nel reparto di Neurochirurgia per un intervento di discectomia, e cioè l’asportazione del nucleo polposo di un disco intervertebrale. Dopo le dimissioni, tuttavia, il dolore piuttosto che ridursi, aumenta. E così i medici ritengono necessario un secondo intervento. Niente, i dolori non vanno via. Anzi, si sono aggiunti problemi di deambulazione. Serve una terza operazione che, però, la paziente decide di eseguire all’ospedale San Gerardo di Monza.

La terza sezione civile del Tribunale ha chiesto ai periti di valutare il percorso clinico della ragazza. Ecco cosa scrive il giudice: “Deve affermarsi la responsabilità per imperizia e superficialità dei sanitari che, preliminarmente, decisero di sottoporre l’attrice ad intervento chirurgico senza prima avere adottato un corretto approccio clinico nel trattamento della patologia erniaria, che avrebbe richiesto prioritariamente un approfondimento radiologico e neurofisiologico, il quale avrebbe consentito di verificare la integrità e la funzionalità del midollo, delle radici, dei tronchi nervosi e dei muscoli da essi innervati. Solo all’esito di tali accertamenti poteva essere deciso se sottoporre o meno ad intervento chirurgico o se, piuttosto, adottare tecniche, consigliate dalla comunità scientifica per casi meno gravi, di natura farmacologica (somministrazione di terapia antinfiammatoria) o fisiatrica”.

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Dunque, l’intervento, secondo i periti, non era necessario. La patologia poteva essere curata con i farmaci: “Il medico che visitò la paziente qualificò le sue condizioni cliniche gravi pur in assenza di esami specialistici e decise frettolosamente di intervenire chirurgicamente non tenendo, peraltro, conto della giovane età della paziente che all’epoca aveva solo 19 anni”.

Il primo intervento, quello che i periti hanno giudicato non necessario, “venne poi portato a termine correttamente ma l’insorgenza delle più gravi patologie ha indotto i sanitari ed eseguire altro intervento tuttavia non compiuto con perizia e correttezza poiché venne rimosso del tutto il processo articolare di destra, causando pertanto una instabilità intervertebrale non eliminata nel corso dello stesso atto, che ha peggiorato le condizioni di salute”. E così fu necessaria la terza operazione, quella eseguita a Monza, “non del tutto risolutiva delle problematiche di salute lamentate”.

La ragazza ha deciso di fare causa all’ospedale con l’assistenza dell’avvocato Emanuele Gualniera. La direzione del Policlinico si è difesa, sostenendo che i medici della struttura universitaria hanno agito con “perizia e diligenza” e non c’è “nesso di causalità tra la condotta professionale dei sanitari e i danni” della paziente. Di avviso opposto il giudice. Da qui la condanna al risarcimento dei danni inflitta all’ospedale sulla scia di un principio ormai consolidato dalla Cassazione: se in passato la responsabilità della struttura sanitaria veniva “appiattita” su quella del medico, oggi vengono riconosciute “responsabilità autonome dell’ente, che prescindono dall’accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori, e trovano invece la propria fonte nell’inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili all’ente”.

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01 Agosto 2016, 19:28

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