18 Settembre 2023, 16:18
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PALERMO – L’inchiesta è chiusa. L’elenco di coloro che hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini si apre con Francesco e Massimo Mulè, padre e figlio. I due boss di Porta Nuova sarebbero tornati a comandare nella zona di Palermo centro. Il loro regno è da sempre Ballarò.
Ai loro ordini avrebbero risposto gregari, uomini del racket e picciotti della manovalanza. Gli altri indagati sono Gaetano Badalamenti, Francesco Lo Nardo, Giuseppe Mangiaracina, Alessandro Cutrona, Calogero Naso, Salvatore Gioeli, Antonio Lo Coco, Alessandro Adamo, Antonino Pisano, Simone Abbate, Salvatore Maddalena, Giovanni Maddalena, Giuseppe Campisi, Giuseppe Civiletti, Salvatore D’Atria, Giuseppe Castelli.
L’avviso firmato dai pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gaspare Spedale è propedeutico alla richiesta di rinvio a giudizio. I Mulè entrano ed escono dal carcere. Il padre ha rischiato di restarci per tutta la vita, ma è tornato libero nel 2018. Una libertà inaspettata, visto che stava scontando l’ergastolo. Ha goduto di una legge, la Carotti, rimasta in vigore pochissimo tempo. Tanto quanto è bastato al 75enne killer di venire scarcerato dopo 23 anni trascorsi in cella.
Noti alle cronache giudiziarie non sono solo i Mulè. C’è ad esempio Gaetano Badalamenti che si porta dietro una scia di soprannomi: “Zio”, “il romano”, “Mangeskin”. Ha riportato condanne irrevocabili per associazione mafiosa, rapina, ricettazione, estorsione, sequestro di persona, traffico di droga e armi. Sarebbe tornato ad occuparsi di estorsioni.
Ci sono coloro che avrebbero gestito la riffa, una forma di pizzo mascherato. Commercianti e bottegai sarebbero stati costretti a comprare i biglietti per le estrazioni da Alessandro Cutrona e Leonardo Marino. I soldi servono per mantenere la filiera criminale. Ne circolano sempre meno. Il numero degli arrestati cresce, operazione dopo operazione, e con esso le spese per aiutare le famiglie dei detenuti. Se si spezza il vincolo di solidarietà la mafia, forte ma stracciona di oggi, rischia il collasso.
“Invece lui si può fregare i soldi e se li frega”, dicevano di Mulè jr, a cui veniva contestata una gestione allegra della cassa. Ancora più esplicita era la conversazione fra Giuseppe Mangiaracina e Salvatore Gioeli. Quest’ultimo, altro mafioso di lungo corso, raccontava di avere contestato ai Mulè di “fottersi i soldi”. Non gli piaceva neppure la divisione dei guadagni. “Duecento” a chi comanda e “noialtri 80. Ma, nooo: 200 e noialtri 10”. Ai gregari restavano gli spiccioli, seppure facessero il grosso del lavoro e si sentissero “pari merito” dei capi. “Però… però si va allo scontro”, diceva Gioeli. Mangiaracina riportava il discorso alla realtà magra: altro che “scontro, questo è campare”.
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18 Settembre 2023, 16:18