10 Marzo 2022, 05:40
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PALERMO – Un nuovo tassello investigativo su una rapina che qualche anno fa fece scalpore. Il bottino servì per finanziare la latitanza di Matteo Messina Denaro.
Nel novembre 2013 un commando armato fece irruzione nel deposito della Ag Trasporti di Campobello di Mazara.
Di quel commando potrebbe avere fatto parte anche Domenico Macaluso, 49 anni, il cui nome è emerso nell’inchiesta che ha portato all’arresto del capomafia di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, il “dottore”.
Macaluso è indagato per mafia: avrebbe fatto parte della famiglia di Roccella. Non è stata, però, emessa una misura cautelare nei suoi confronti. Se è vero, secondo il giudice, che Macaluso si sarebbe messo a disposizione di Guttadauro, non ci sono, però, elementi univoci da cui emerge la sua partecipazione all’associazione mafiosa.
Non fu una rapina qualunque quella del novembre 2013. Sia per l’obiettivo che per il destinatario del bottino: i soldi servirono per aiutare la famiglia di Matteo Messina Denaro.
L’azienda rapinata apparteneva a Giovanni Arduino, fratello del boss Giuseppe (ufficialmente faceva il portiere di albergo), uomo forte del mandamento di Brancaccio e condannato con sentenza definitiva. Qualche mese prima della rapina la Ag Trasporti era finita sotto sequestro.
Grazie all’aiuto di un basista il gruppo di rapinatori, che faceva capo a Francesco Guttadauro (figlio del cognato di Matteo Messina Denaro, Filippo Gittadauro, fratello di Giuseppe, il “dottore”) e Luca Bellomo (marito di Lorenza Guttadauro, altra figlia di Filippo Guttadauro). Tra gli arrestati per il colpo c’era anche Ruggero Battaglia.
Dal deposito sparirono 600 colli di merce e 17 mila euro in contanti. Ad entrare in azione fu un gruppo di otto persone, di cui alcune non sono mai state identificate. Indossavano le pettorine della polizia ed arrivarono a bordo di due macchine e di un furgone bruciati dopo la rapina. Dissero che cercavano un carico di droga, legarono con delle fascette una decina di dipendenti e lavorarono indisturbati.
Sono diversi i pentiti che hanno parlato della rapina. Per ultimo Salvatore Sollima di Bagheria. I palermitani non si tirarono indietro. Arrivò la richiesta di Battaglia: “Viremu di aiutare sti picciotti che hanno bisogno picchi hanno ad aiutare stu picciottu che ammancò da casa. Si riferiva a questa persona che è latitante da tanto tempo”.
C’è un particolare che bisogna rivalutare alla luce dei nuovi elementi investigativi. Una donna avrebbe avuto, per un periodo di tempo, un canale di comunicazione con Messina Denaro. Secondo gli investigatori, dovrebbe trattarsi di Maria Insalaco, la madre di Luca Bellomo. Solo che la donna è deceduta ad aprile 2019.
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10 Marzo 2022, 05:40