Palermo, rifiuti non pericolosi: archiviazione per gli imprenditori

Palermo, rifiuti non pericolosi: archiviazione per gli imprenditori

Dopo 4 anni è stata la stessa Procura a chiedere di chiudere il caso

PALERMO – Le accuse erano pesanti per chi di mestiere fa l’imprenditore. Traffico illecito di rifiuti e frode nelle pubbliche forniture. Si richiesta della stessa Procura della Repubblica, a distanza di quattro anni dagli avvisi di garanzia, il giudice per le indagini preliminari ha archiviato l’inchiesta.

Le posizioni archiviate

Ad ottenere l’archiviazione sono stati Michele Raspanti (avvocati Giuseppe Gerbino e Fabio Vanella), Roberto Terzo (avvocato Mario Caputo) Filippo Laurino Ferrer (avvocati Rosalia Zarcone e Annalisa Milioto), Giuseppe Speciale (avvocati Cinzia Manzella e Simona Conigliaro), Anna Bordonaro (avvocato Salvatore Caradonna), Se.Reco srl (avvocato Vincenzo Dina), Ecogestioni srl (avvocato Filippo Mulè).

La ricostruzione iniziale era che 82 tonnellate di rifiuti urbani pericolosi e speciali sarebbero stati arbitrariamente classificati come rifiuti non pericolosi e dalla provincia di Palermo sarebbero stati conferiti in un impianto di Mantova non autorizzato a riceverli.

L’inchiesta era partita da un accertamento effettuato nel 2014 nell’impianto di gestione rifiuti di Santa Flavia di proprietà della Ser.Eco srl dove vennero segnalate alcune irregolarità gestionali e si era poi estesa anche all’impianto di Cefalà Diana. Raspanti è l’amministratore di Se.Reco ed Ecogestioni, Speciale e Ferrer operai specializzati della Se.Reco, Terzo era commissario liquidatore dell’alto Belice Ambiente.

Nella sua memoria difensiva l’avvocato di Raspanti, Fabio Vanella ha innanzitutto ha voluto sottolineare che le 82 tonnellate, si trattava di legno, oggetto del processo, seppure agli occhi dei più potessero sembrare una cifra enorme, in realtà rappresentavano poco più dell1% delle oltre 5.500 tonnellate di rifiuti trattati degli impianti della Se.Reco.

Gli avvocati Fabio Vanella (in alto) e Giuseppe Gerbino

“Codice a specchio”

Nel merito il legale ha contestato una lettura anacronistica e ormai superata della disciplina dei rifiuti con “codice a specchio”. In pratica esistono rifiuti che possono essere sia pericolosi che non pericolosi a secondo che contengano o meno determinate sostanze. Secondo gli investigatori, i rifiuti in questione sarebbero stati pericolosi “salvo certificazione contraria”. Una teoria della “pericolosità presunta” bocciata ricusata dalla Corte di giustizia europea, la quale ha stabilito che non vi è alcun “obbligo generalizzato di sottoporre ad analisi chimico-fisiche i rifiuti con codice a specchio”. Ciò significa che “l’imprenditore è dispensato dal compiere analisi di laboratorio finalizzate alla ricerca di sostanze pericolose e il loro grado di concentrazione quando siano note la provenienza del rifiuto e la sua origine e sulla base di dette informazioni possa ragionevolmente escludersi la pericolosità del rifiuto”.

“Mai mi sarei macchiato di reati”

“Questa vicenda sembrava avesse vanificato l’impegno, la dedizione e la correttezza profusa nello svolgimento della mia trentennale attività, screditando la mia impresa – spiega Michele Raspanti -ma soprattutto la mia persona che mai si sarebbe macchiata di un simile reato. La fiducia nelle istituzioni e la consapevolezza di aver operato nel rispetto della legge, mi ha dato la forza di reagire e andare avanti con la stessa determinazione e passione che hanno contraddistinto il mio percorso professionale”.


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