24 Gennaio 2022, 16:24
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PALERMO – Calunnia, molestie e tentata violenza privata. Rosario Basile, ex patron di Ksm, è stato condannato a tre anni e mezzo. Una condanna pesante, ma inferiore ai 5 anni e 9 mesi chiesti dalla Procura. Sono caduti sei dei nove capi di imputazione. Il processo riguardava la relazione con una ex dipendente da cui era nato un figlio.
Secondo l’accusa, Basile avrebbe minacciato la donna affinché non rivelasse che il figlio era suo. Una consulenza sul Dna, allegata al processo civile, stabiliva invece una compatibilità del 99,9 per cento. E così sarebbe scattata la ritorsione dell’imprenditore che avrebbe licenziato la dipendente e fatto “carte false” per screditarla (questa parte non ha retto al vaglio del Tribunale). Il difensore, l’avvocato Sergio Monaco, preannuncia ricorso in appello.
Nel corso di un interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari Basile aveva respinto l’accusa di avere ordito un piano contro la donna, ma si era detto pronto ad assumersi le proprie responsabilità di padre. Una sentenza del Tribunale ha infine stabilito che quel figlio è suo.
Agli atti dell’inchiesta c’era anche “un dossier” che Basile consegnò ai pm per sostenere di essere stato vittima di una tentata estorsione da parte della donna (ed è il capitolo della calunnia). Dentro vi erano notizie acquisite direttamente o apprese da altri. La “licenziosa condotta sessuale” della donna, così la definiva, lo spinse a non credere che il figlio fosse suo. Con la mamma del bimbo aveva avuto rapporti sempre protetti e alla luce dei suoi 74 anni nutriva più di un dubbio.
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Basile aveva raccontato di avere saputo dalla donna dei suoi precedenti fidanzamenti con un politico siciliano e con il figlio di un capomafia. Circostanze confermate dai diretti interessati. Ad un certo punto, Basile avrebbe cercato di fare modificare da un esperto informatico, che confessò, la perizia sul Dna sui cui si è basata la decisione del giudice sul riconoscimento della paternità.
Il Tribunale presieduto da Fabrizio La Cascia, su richiesta del pubblico ministero Cladia Ferrari, ha condannato anche il dirigente di Ksm Francesco Paolo Di Paola (3 anni) e la collaboratrice di Basile Veronica Lavore (2 anni). Anche nel loro caso sono cadute alcune imputazioni.
Assolti Marcella Tabascio (segretaria di presidenza della Ksm), Salvatore Cassarà, maresciallo dei carabinieri imputato per rivelazione di segreto istruttorio (a lui il patron di Ksm si sarebbe rivolto anche per ottenere notizie sul conto della donna con cui aveva avuto la relazione sentimentale), e il dipendente Antonino Castagna. Erano difesi dagli avvocati Francesca Russo, Gianfranco Viola e Jimmy D’Azzò.
Nel corso del processo è emerso che il maresciallo Cassarà stava indagando sui presunti rapporti fra la donna e il figlio di Totò Riina. I suoi accertamenti volevano evitare, ha sostenuto la difesa, possibili infiltrazioni mafiose per ottenere finanziamenti da parte dall’Irfis di cui Basile in quel momento era presidente.
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