04 Ottobre 2024, 08:57
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PALERMO – Slitta a venerdì della prossima settimana il verdetto del processo a Laura Bonafede. La donna che fu amante di Matteo Messina Denaro rischia 15 anni di carcere. Il giudice per l’udienza preliminare Paolo Magro dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di condanna della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. La decisione era fissata per oggi, ma la trattazione di un altro processo ha reso necessario il rinvio.
Maestra, amante e confidente di Matteo Messina Denaro. Secondo i pubblici ministeri, Laura Bonafede è stata anche un’associata mafiosa.
Il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido e i sostituti Gianluca De Leo e Piero Padova hanno ricostruito il suo ruolo. Per un periodo hanno vissuto insieme. Poi si erano allontanati per prudenza. Infine, poco prima dell’arresto, tornarono a incontrarsi davanti al banco salumi di un supermercato.
Laura Bonafede è figlia del capomafia deceduto Leonardo, cugina del geometra Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato l’identità al boss per curarsi, del dipendente comunale e omonimo che ha provveduto a fare avere al padrino le ricette mediche e di Emanuele Bonafede, uno dei vivandieri del padrino arrestato insieme alla moglie Lorena Lanceri.
La maestra è sposata con il mafioso ergastolano Salvatore Gentile, ergastolano per avere commesso due efferati omicidi su ordine proprio di Messina Denaro. Ed è madre di Martina Gentile, anche lei finita sotto inchiesta perché la rete di protezione del padrino è stata soprattutto una questione di famiglia.
La relazione fra i due risalirebbe al 1996. Messina Denaro andò a trovare a casa il padre della donna per ottenere il permesso di frequentare la figlia. Solo a partire dal 2007, però, Laura Bonafede sarebbe stata coinvolta dal boss di Castelvetrano nella gestione dei propri interessi. Ad un certo punto avrebbero pure convissuto, insieme alla figlia Martina indagata per favoreggiamento. Dal 2015 la convivenza sarebbe stata interrotta ed è iniziata una fitta corrispondenza.
Di tanto si incontravano, ad esempio nel “tugurio” uno dei luoghi rimasti misteriosi. “Eravamo una famiglia”, scriveva il capomafia in un pizzino diretto a Blu, uno dei nomi in codice usati per la maestra.
Lei si occupava del sostentamento e della sicurezza del boss, gli faceva la spesa durante la pandemia nel timore che si ammalasse e non potesse uscire di casa, condivideva con lui linguaggi cifrati, segretissimi pizzini, affari e informazioni sulla cosca.
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04 Ottobre 2024, 08:57