Cronaca

Palermo, sequestrato il tesoretto del boss che doveva morire

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22 Giugno 2023, 12:40

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PALERMO – Giovanni Niosi, il boss che doveva morire, aveva un tesoretto da un milione di euro. Oggi gli è stato sequestrato dai carabinieri su ordine della sezione Misure e prevenzione del tribunale di Palermo.

La parabola di Giovanni Niosi, oggi quasi settantenne, ha rischiato di finire nel peggiore dei modi. Da reggente a “graziato”. Secondo i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale, a San Lorenzo avevano pensato di ammazzarlo. Solo l’intervento di Paolo Calcagno, che nel 2015 era il reggente di Porta Nuova, il mandamento più influente della città, evitò il peggio.

In un primo tempo era stato deciso che dovesse essere Niosi a prendere in mano le sorti del clan di San Lorenzo dopo gli arresti del blitz Apocalisse del 2014. Se ne discusse nel corso di una riunione in casa della sorella di Niosi, alla presenza di Vincenzo Graziano (nel frattempo scarcerato e poi di nuovo arrestato dopo il pentimento di Vito Galatolo), Sergio Macaluso e Pietro Salsiera. Ma si dovette attendere il mese di agosto 2015 per dare il via libera alla nomina di Niosi. Per affrontare la questione volevano sentire il parere di Mariangela Di Trapani che era stata scarcerata in aprile. Si tratta della moglie del killer Salvino Madonia, per cui è caduta l’ipotesi che guidasse il mandamento di Resuttana.

Per affrontare la delicata faccenda scelsero il bar Hilton di via Libertà (locale “nella disponibilità di Sergio Napolitano”).

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Le lamentele, però, non tardarono ad arrivare. A Niosi, innanzitutto, veniva contestato di avere ammesso la partecipazione a Cosa Nostra patteggiando la pena: “… dai libri di scuoia dei bambini già glielo scrivono… mai ammettere… di fare parte di questa organizzazione, mai…”. E poi Niosi non era in grado di fare giungere i soldi alle famiglie dei detenuti. Il primo a storcere il naso fu Pietro Salsiera che ne parlò con Sergio Macaluso mentre era ricoverato al Cervello perché colpito da un infarto. E Macaluso riferì tutto a Sergio Napolitano: “… dico ci dobbiamo vedere però, magari una volta alla settimana, hai soldi, non hai soldi cioè hai discorsi di dire… siamo persi, siamo smarriti. Lascia stare che quello è buttato all’ospedale pure, ma lui… dico non è che si organizzano così le cose, minchia una barca sfasciata… è una barca sfasciata”.

Ma la colpa più grave era quella di parlare troppo. Aveva spifferato che c’era in programma, nel 2015, una riunione fra i mandamenti: “… dice fra poco si deve fare una riunione con i mandamenti… ma è squagliato di cervello perciò dice a cristiani che non c’entrano niente”. Una riunione importantissima che doveva restare segreta e di cui non si conosce l’ordine del giorno. Certo in ballo cui doveva essere qualcosa che andava oltre il lavoro sporco quotidiano.

E così i tre, che avrebbero successivamente creato una sorta di triumvirato di potere, avevano “parlato di posarlo” con Vincenzo Di Maio, anziano boss della zona. Si pensò anche alla soluzione estrema, ma “l’oltre era stato stoppato”. La parola “oltre” celerebbe i piani di morte, fermati da Calcagno. Niosi doveva essere solo “posato”.

Nel frattempo però la sua autofficina in via della Regione Siciliana, oggi sequestrata, era stata imbottita di microspie e telecamere. C’era un viavai di boss. Tutti fotografati in una stagione di fibrillazione per il mandamento di San Lorenzo, combinata con gli arresti del blitz “Talea” del 2017.

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22 Giugno 2023, 12:40

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