29 Gennaio 2016, 17:23
4 min di lettura
CATANIA . Una fotografia chiara e nitida della mappatura delle organizzazioni criminali annidate nel territorio. O meglio, un panorama delle attività di contrasto alla criminalità organizzata e dei numerosi risultati messi a segno dalla direzione Investigativa Antimafia di Catania solo nel primo semestre del 2015. E’ quanto contiene la relazione consegnata al ministero dell’Interno dai vari centri italiani e quindi anche di Catania. A illustrare i tratti più salienti del documento è stato quest’oggi il capo centro della Direzione etnea, Renato Panvino nel corso di un incontro informale con i giornalisti.
“Si tratta di una relazione esaustiva del fenomeno, – spiega Panvino – ma al contempo dà chiara dimostrazione di quello che la forza Stato ha ottenuto nel corso del primo semestre 2015”. Il capo centro Panvino è uno dei protagonisti, insieme al Procuratore Patanè, del cosiddetto “modello Catania” di gestione dei beni confiscati. Una lunga serie di operazioni che hanno già sottratto alla criminalità organizzata centinaia di milioni di euro. Esiti positivi che la direzione illustra non senza una punta di orgoglio. “Sono risultati lusinghieri – prosegue – che sicuramente hanno indebolito la mafia”. Panvino, inoltre, assicura, come il fenomeno sia sotto controllo al momento. “C’è una gestione a 360 gradi del fenomeno. Non c’è una fuga e rincorsa da parte dello Stato, ma un buon livellamento. Credo si sia giunti ad una fase di equilibrio nella lotta”.
La relazione consta di quasi trecento pagine. “E per quanto riguarda la parte che riguarda il nostro lavoro sono riportate delle attività significative”. “Dall’analisi condotta -. Si legge – e riportata nel dossier del I semestre del 2015 – già pubblicato nel sito della DIA – le dinamiche di cosa nostra confermano le linee di tendenza tracciate col passato, sia sotto il profilo organizzativo e sia e in termini di politica criminale. Entrambi i livelli delle associazioni mafiose operano nell’intento di mantenere un forte controllo sociale ed economico”. La Dia ha inferto duri colpi a cosa nostra, tanto che “ Le azioni di contrasto, le defezioni e le tensioni interne sembrano costringere l’organizzazione ad una costante rimodulazione degli assetti, con un conseguente serrato turn over delle leve di comando”.
Panvino, inoltre, torna a evidenziare come la mafia si sia evoluta negli anni riuscendo a mimetizzarsi bene nel sistema economico e strutturandosi su diversi livelli. Basti pensare alle, “sollecitazioni” e ai tentativi di condizionamento mafioso a monte e a valle delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e nel settore dello smaltimento dei rifiuti. “Questo processo di infiltrazione – continua la relazione – negli apparati dello Stato si coniuga con un ciclo economico–criminale caratterizzato da alcune costanti, quali: necessità di attingere a fonti di finanziamento utili ad alimentare le strutture di base dell’organizzazione; gestione di traffici illeciti; riciclaggio ed il reimpiego delle illecite disponibilità finanziarie; l’acquisizione dei consensi sia nel mondo dell’imprenditoria che delle pubblica amministrazioni; Strategia, tutte queste, che avrebbero consentito a cosa nostra di raccogliere ingenti risorse finanziarie e patrimoni illeciti, ancora solo in parte colpiti dall’azione della Dia, magistratura e forze di Polizia”.
Ma in particolare, per quanto concerne le dinamiche mafiose nella Sicilia sud-orientale, emerge come il panorama – rispetto alle altre aree – sia più articolato e di tipo trasversale. Ma comunque, come ribadisce Panvino, il volto della mafia sarebbe rimasto uguale a quello storico e già conosciuto negli anni. “Non c’è una cosca – dice – che prevale rispetto a quelle già conosciute”. Nella provincia etnea, nello specifico, possono registrarsi i seguenti schieramenti contrapposti, allo stato non in lotta: da una parte il clan Santapaola-Ercolano, Mazzei e La Rocca, dall’altra il clan Cappello-Bonaccorsi e Laudani. Quest’ultimo controlla i reduci dei clan Sciuto, Pillera, Cursoti, Piacenti, e Nicotra.
A Catania, più nello specifico, sono state condotte diverse operazioni che hanno portato al sequestro e alle confische di beni e grossi capitali. “Ma anche se sono state affinate – continua il capo centro – le loro tecniche di riciclaggio, grazie ai metodi studiati dai nostri uffici preposti riusciamo a stare al passo. Le interdittive antimafia colpiscono le società. E ovvio poi che gli interessi della mafia si spostano nel territorio laddove c’è maggiore riscontro economico illecito. E’ un lavoro encomiabile e ogni giorno è una sfida al ritrovamento dei capitali e patrimoni illeciti”- evidenzia.
Cosa nostra infatti opererebbe a Catania “privilegiando una strategia imprenditoriale, – si legge ancora – insinuandosi in determinati circuiti economico finanziari locali nazionali ed internazionali, al fine di intercettare risorse pubbliche ed investendo i proventi delittuosi, nel duplice tentativo di incrementarli e riciclarli”. Quanto all’interesse nei confronti degli enti locali, sarebbero in corso una serie di operazioni investigative su una serie di atti intimidatori, realizzate in danno di alcuni candidati, durante le campagne elettorali per il rinnovo dei Consigli comunali di Bronte e Mascali”.
Ma se da un lato, nell’area della provincia etnea le operazioni antidroga hanno fatto registrare come il crescente coinvolgimento delle famiglie per l’approvvigionamento delle sostanze illecite sia finalizzato al mantenimento dei rapporti con i clan calabresi, per esempio; a Catania invece persiste il fenomeno estorsivo. Un male che colpisce e danneggia ancora tante piccole e medio imprese. Senza contare che rimane ancora bassa la percentuale di imprenditori capaci di trovare la forza per ribellarsi e denunciare il pizzo. “Finora possiamo ritenerci soddisfatti, ma la lotta continua” – conclude infine Renato Panvino.
Pubblicato il
29 Gennaio 2016, 17:23