02 Aprile 2016, 05:25
6 min di lettura
CATANIA – Storia e memoria, Sicilia e siciliani, Bianco e Crocetta. Paolo Mieli, giornalista e storico, a Catania per la presentazione del suo ultimo libro “L’arma della memoria” (Rizzoli), traccia un interessante dipinto dell’isola e delle sue dinamiche, legate alla sua millenaria storia e ad alcune caratteristiche particolari che ne perpetuano pregi e difetti. Ma avvisa subito: “Io ho un pregiudizio positivo nei confronti della Sicilia, in particolare per la zona di Catania, Noto e Vendicari”.
Storia e memoria. Talvolta sembra che i siciliani abbiano poca coscienza di entrambe. Lei che ne pensa?
Io non ho questa impressione. Ho l’impressione che i siciliani abbiano qualche difficoltà a fare i conti con la propria memoria perché la loro storia è complicata, sia dal punto di vista storico vero e proprio, nel senso che hanno un passato più complesso di altre parti dell’Italia e dell’Europa. Ad esempio, in Sicilia sono stati luminosi periodi che il resto d’Europa considera oscuri e invece sono stati oscuri periodi che il resto d’Europa considera luminosi. Anche la memoria per i fatti di mafia, i fatti sanguinosi di questo dopoguerra, è una memoria molto complicata. Faccio un esempio: noi siamo abituati, quando analizziamo il fenomeno mafioso, a considerare la mafia cattiva e l’antimafia buona. La prima la consideriamo ancora cattiva, ma negli ultimi tempi abbiamo scoperto che, fra i meandri dell’antimafia, si nascondono cose paramafiose, comunque molto discutibili, sulle quali non è stata fatta piena luce. Non ci sono sentenze in giudicato, ma qualche dubbio lo abbiamo, In questo modo, la memoria non sa più come destreggiarsi. Senza paletti e senza coordinate, la storia diventa un labirinto. Dentro il bene potrebbe annidarsi il male e quindi non c’è più una certezza di guardare al passato.
Facendo un passo indietro, arrivando al Risorgimento. Crede che quella storia sia stata consegnata in modo distorto?
Direi proprio di sì. Non c’era l’intenzione, ma si è dipinto il Risorgimento come se il bene fosse tutto da una parte e il male tutto dall’altra. Da quella di chi ha fatto resistenza a questo processo. Ma i motivi per fare resistenza furono diversi, alcuni riprovevoli, altri no. Non era detto né scritto che il Sud, e in particolare la Sicilia, dovesse essere “colonizzata” nel modo in cui lo è stato. Che titoli aveva il Piemonte per colonizzare la Sicilia? Dieci anni dopo quella italiana, fu fatta l’unificazione tedesca ma, nessuno degli stati preesistenti venne trattato come se fosse colonia. Invece, la Sicilia fu trattata così. Questo si è trasferito nei libri, con il capitolo della lotta al brigantaggio, come se le rivolte che ci furono tra il 1861 e il 1865 fossero malavitose, o perpetuate da bande di straccioni. C’era sicuramente anche questo, ma la sostanza di quella rivolta era contro questo modo coloniale di trattare il sud Italia. Tutto questo non è trattato né approfondito e i manuali, ma se non si capisce questo aspetto, non si comprendono alcuni fenomeni successivi, come l’emigrazione. Nel continente americano sudamericano, i meridionali sono diventati l’ossatura di una civilizzazione del paese. Insieme alla malavita, certo. Da noi sono stati trattati come delle minoranze cui a poco a poco è stato consentito di emanciparsi. Anche per questi motivi c’è stata una incubazione di malavita in forme organizzate, camorra, mafia, ndrangheta, che nel resto D’Italia non si è verificata e che probabilmente risale proprio a questo modo che abbiamo avuto di concepire l’unificazione d’Italia.
Dal suo punto di vista privilegiato di uomo del “Continente”, qual è la visione dei siciliani e della Sicilia, in Italia?
Purtroppo non le so rispondere perché sono letteralmente innamorato della Sicilia e di Catania in particolare. E’ il luogo ideale dove io conto di trascorrere gli anni finali della mia vita. E’ un paradiso terrestre. Direi che intorno a me si percepisce un dubbio, sull’eccesso di enfasi che il popolo siciliano mette quando qualcosa appare andar bene. I problemi sono talmente complicati e innestati in un tronco nel quale ci sono anche le responsabilità “continentali”, che quegli entusiasmi, ad esempio le stagioni dell’antimafia, sono un po’ fittizi. E c’è una nota stonata nel tono dei siciliani che si accompagnerà, inevitabilmente, alla scoperta che le cose non sono state risolte come immaginato. Questa sceneggiata, questo modo teatrale di fare, crea dei pregiudizi e, quando ci sono annunci di grandi successi nessuno ci crede. Non solo in Sicilia ma in tutto il sud Italia, non c’è il tema forte dell’assunzione di responsabilità che invece, al nord, con qualche eccezione, è più presente, per cui, le colpe sono sempre degli altri e ogni volta le generazioni riconsegnano la situazione generale peggio o come l’hanno trovata.
Che opinione ha di questa fase politica della Sicilia e del presidente Rosario Crocetta?
Non è una persona antipatica, ma di molte parole e pochi fatti. Lui ha preso una strada asfaltata che era già piena di buche, ha promesso di trasformarla in autostrada sapendo di fare una promessa a vanvera. Adesso la strada è in condizioni peggiori e ci si può compiacere, una volta arrivati a destinazione, di avere ancora tutti i pezzi della macchina. Non gli sono capitati scandali particolarmente difficili per un uomo politico, però, durante la sua stagione di governo, si è verificata la corrente di dubbi sull’antimafia e sugli Imprenditori, paladini dell’antimafia, poi scoperti con le mani nella marmellata. La grande scoperta di questi anni, degli anni di Crocetta, è che tutta questa manifestazione di spirito antimafioso che prevaleva, nascondeva invece le cose di sempre. Va detto che contro Crocetta ci sono state delle montature, come la falsa intercettazione a suo danno sui rapporti con il medico e con la famiglia Borsellino, quindi c’è qualcosa che si è mossa contro di lui in modo opaco, però se il risultato di questa presidenza è insoddisfacente e Crocetta farebbe bene ad addossarsi le proprie colpe.
E per quanto riguarda il sindaco Bianco. Crede che siamo di fronte a una nuova primavera?
Né per Bianco né per Orlando c’è lo spirito della primavera, perché quella fu una stagione irripetibile. Ad onore di Bianco, che pure adesso non è più giovane, devo dire che la sua esperienza è diversa, ad esempio, da quella del sindaco di Palermo. Perché il primo è tornato nella sua città, l’ha riconquistata con il consenso e, da quello che si vede dal Continente, non ha provocato moti di ripulse e respingimento immediato, come a volte succede. Certo, oggi è un’amministrazione più complicata rispetto ad allora, ma è più matura e io la preferisco. Non mi piace la Sicilia che pensa che i problemi si possano risolvere in poco tempo o in qualche anno. Per questo, preferisco la gestione con i piedi per terra di questi anni, rispetto a vent’anni fa.
Infine, parlando di giornalismo e di crisi del giornalismo. Pensa che il nostro mestiere sia morto?
No. Si sta solo trasformando. E’ come quando ci fu il passaggio dal teatro, al cinema e poi alla televisione. Alla fine dell’Ottocento il teatro era tutto, e oggi è ancora un luogo importante della cultura. Per il giornalismo è lo stesso. Il mestiere del giornalista si sta trasformando: i giornali di carta rimarranno per le nicchie e poi il giornalismo troverà un nuovo modo di essere. E’ semplicemente un cambiamento. Ma, come il teatro è rimasto un luogo di rispetto e di passaggio per la recitazione – a un vero attore e a un vero regista, se non ha fatto teatro, manca qualcosa – così penso che sarà per la carta stampata. Cioè, i mezzi di comunicazione saranno altri, ma il vero giornalista, il vero direttore di giornale, fa molto bene a fare un passaggio attraverso la carta stampata.
Pubblicato il
02 Aprile 2016, 05:25