Papà, gli “altolocati” | e quelli dell’altra sponda

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20 Ottobre 2009, 16:34

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E’ meno famoso del fratello Massimo, più riservato e più appartato dalla vita di famiglia. Giovanni Ciancimino, avvocato, figlio di don Vito, ha testimoniato al processo contro Mori e Obinu per favoreggiamento alla mafia e ha dipinto il suo ritratto di famiglia. Ha raccontato gli incontri col padre nell’arco del 1992 attraversando le diverse fasi: dalla paura dopo l’omicidio Lima alla rinascita con l’inizio della trattativa, dai dubbi sulle richieste corleonesi fino alla tristezza della detenzione con il rancore di chi è stato “venduto”.

Vito Ciancimino in quel 1992 viveva a Roma. Periodicamente il figlio Giovanni lo andava a trovare. Come quella volta che avvenne una furiosa lite. “Saranno stati venti giorni dopo la strage di Capaci – racconta Giovanni Ciancimino – mio padre mi ha raccontato di essere stato contattato, mi disse: ‘vedrai che evitare questa mattanza sarà un bene per tutti’”. Rispetto all’argomento Giovanni sottolinea come il rapporto col padre, soprattutto per certe tematiche, fosse molto freddo, poco partecipato, non come era con Massimo. “Mio padre mi parlò di personaggi ‘altolocati’ e di ‘quelli dell’altra sponda’” e per quest’ultima definizione bisogna ricorrere alla consuetudine di casa Ciancimino, dove “quelli dell’altra sponda” sono i mafiosi. In quell’occasione, però, Giovanni, gli diede del “pazzo”, rompendo la tradizione del rapporto col padre. Una lite che portò i due a non parlarsi per molto tempo.

Nel secondo incontro raccontato, padre e figlio sono a Palermo, prendono la strada per Montepellegrino. Don Vito tira fuori dalla giacca un foglio, “avvolto come i temi che si portano di nascosto ai concorsi”, e domanda al figlio: “Ma cos’è la revisione del processo?”. Alla risposta del figlio, che glielo spiega dal punto di vista legale, Vito Ciancimino incalza: “Si potrebbe fare la revisione del maxiprocesso”. “Fantascienza” avrebbe risposto Giovanni che spiega come, secondo lui, questa trattativa fosse foriera di altri guai per il padre e per questo era nettamente contrario. “Ma lui mi diceva: ‘non me li faccio 10 anni in carcere, ci muoio’” racconta Giovanni Ciancimino. Ma c’era ancora una domanda per l’avvocato figlio di don Vito. “Si possono sequestrare solo i beni acquisiti dopo il 1982 (l’anno in cui è stata introdotta la legge sulla confisca dei beni ai mafiosi, ndr)?”. Anche lì, la risposta di Giovanni è stata negativa, non si poteva fare.

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Ma quello che lo fece andare su tutte le furie fu la richiesta del padre di presentare, tramite il suo difensore legale, l’istanza per ottenere un passaporto. “’Mi hanno fatto capire che devo richiedere il passaporto’ mi disse mio padre – dice Giovanni Ciancimino – parlai col professore Campo che si rifiutò”. E il motivo, al di là di tutto, era molto semplice. Giorni prima, Vito Ciancimino, uscendo da un’aula giudiziaria aveva detto ai giornalisti: “Non sono stati sequestrati perché non li hanno trovati”. Durante il processo, infatti, Ciancimino aveva dimostrato non solo di aver accumulato quel tesoro che gli inquirenti contestavano come proventi di attività illecita, ma anche ricchezze in più. “Fare istanza per un passaporto, in quel momento, era una follia” chiude Giovanni Ciancimino.

L’ultimo episodio passato in rassegna vede don Vito già in carcere. Deluso, indignato. “Lui non si aspettava l’arresto – dice Giovanni – non l’avevo mai visto così abbattuto. Continuava a dire ‘mi hanno venduto, mi hanno tradito’”. Alla domanda del presidente della Corte se fra i contatti ‘altolocati’ c’era il prefetto Mario Mori, Giovanni Ciancimino ha risposto: “E’ una mia convinzione, non so quanto possa valere, ma con tutto il rispetto per Mori e De Donno mio padre non riteneva che loro fossero personaggi altolocati”.

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20 Ottobre 2009, 16:34

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