Papà separati e mamme senza figli | Palermo, il rogo infinito degli ultimi

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13 Marzo 2017, 17:05

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PALERMO – Il purgatorio è il sentiero che, dalla cucina, conduce alla tavola, passando per un cancelletto arrugginito. L’inferno è là fuori, nel buio della notte, nella solitudine, nella paura che può rendere cattive le anime offese, reclinate in corpi vaganti.

Missione di San Francesco dei Cappuccini, in via Cipressi: qui si è consumato il delitto atroce di Palermo. Il benzinaio Giuseppe Pecoraro ha dato alle fiamme Marcello Cimino che dormiva sull’asfalto, tra le coperte, sotto le stelle. Un solo movente: la gelosia, l’innamoramento di Giuseppe per una donna che sentiva contesa da quel clochard gentile. “E’ accaduto proprio qui”, racconta Mimmo Scafidi, indicando una chiazza per terra, con qualche fiore sparso.

Mimmo è uno dei settanta volontari che preparano il cibo, spazzano e accudiscono i bisognosi che vengono a bussare alla porta della Missione. “Siamo in attività da venticinque anni – dice -, operiamo in stretto contatto con la chiesa e con il convento. Da agosto ci siamo costituiti in associazione – eccolo, il bigliettino del cinque per mille all’Associazione di Volontariato Missione San Francesco -. E’ stato un passaggio obbligato per tentare di sfruttare qualche contributo. Il Banco alimentare, che è il nostro principale fornitore di viveri, si trova in difficoltà, perché, con la Regione nel caos, non riceve più un centesimo. Le offerte dei fedeli si sono dimezzate. La crisi è spaventosa. Noi andiamo avanti, con l’aiuto di Dio”.

Fuori dalla porta attendono poche persone. La Missione ha riaperto oggi, dopo il lutto per l’accaduto. Col sacchetto in mano, addenta un panino di fortuna Antonino Schiera, ex operaio di altissimo livello. “Ho lavorato dappertutto – dice di sé -, con vent’anni di contributi. Poi, l’azienda ha chiuso e ho perso il mio lavoro e la mia famiglia. Sono sistemato in una piccola casetta a Boccadifalco, ma non posso pagare la luce – tra le dita, accanto al pane con pomodoro e mozzarella, Antonino stringe una bolletta di settanta euro – e sono in difficoltà per le spese. Se continua così, mi dovrò arrangiare anche io a dormire per terra. Chiediamo solo un po’ di dignità”.

Di fianco, una signora con gli occhiali e i capelli bianchi raccolti a crocchia sbocconcella una mela. Non vuole rivelare il suo nome: “Ho sette figli – sospira, un po’ vergognosa –. Non sanno che la loro mamma è ridotta così”. Ecco l’inferno delle esistenze che pure hanno conosciuto un sorso di Paradiso e che sono precipitate, senza rete di protezione, nell’abisso degli sbandati, per non risollevarsi più: basta un attimo.

Il purgatorio è la cucina oltre il cancelletto, che, però, è  stata gravemente danneggiata dal rogo appiccato da Giuseppe Pecoraro, il benzinaio. Si servono panini e yogurt. Un gatto rossiccio e un uomo spelacchiato si dividono mezza scatoletta di tonno, da bravi fratelli di strada. L’orrore ha lasciato crepe tra i muri e non solo. Mimmo Scafidi conserva in tasca una busta con una lettera dei Cappuccini: “Ci hanno chiesto di riorganizzare tutto”. E si comprende che i toni non sono stati affatto morbidi, che, nell’aria, è rimasto come sospeso un ‘altrimenti’ che potrebbe condurre a soluzioni drastiche.

Chi è il povero che si rivolge alla carità del pane e del companatico? Qual è il suo identikit? Mimmo prova a rispondere: “Vengono persone di tutti i tipi, ultimamente molti papà separati che hanno perso il posto e la moglie, in questa successione o nell’ordine inverso. Molti sono educati, pazienti, prendono quello che gli diamo e ringraziano. Altri sono violenti: la strada è una brutta compagna. Un paio di mesi fa, per esempio, ci siamo trovati quasi in mezzo a una rissa e abbiamo dovuto chiamare la polizia. Sono arrivate cinque volanti. Abbiamo compiuto una scelta radicale. Io sono pensionato, sono stato per anni alla Telecom. Mia moglie Eleonora è una missionaria come me”. “Io, invece, ero in Fincantieri – spiega Matteo Gerbino, settant’anni -. Ho visto tanta sofferenza e ho deciso di impegnarmi”. “Di solito – calcola Mimmo – ospitiamo più di cento fratelli al giorno. Possono fare la doccia, lavarsi, cambiarsi e mangiare. Stiamo qui a occuparci degli ultimi dalle otto del mattino al pomeriggio inoltrato”.

Giuseppe Pecoraro e Marcello Cimino, l’assassino e la vittima, si comportavano da ragazzi gentili, nella memoria di tanti. Pippo, un altro degli impegnati, ricorda: “Se c’era da scaricare un furgone, Giuseppe si presentava subito: posso aiutare? Marcello nemmeno lo chiedeva. Scaricava e basta”.

Quasi ogni notte, c’era Fabio, sotto le coperte, con Marcello, nel rifugio a due piazze. Non era presente per un caso nell’istante della benzina e del falò. Dicono di lui: “E’ stato un miracolato”. Saltuariamente, spuntava quella ragazza, di cui tanto si è chiacchierato, la donna contesa. La signora anziana con la mela sussurra: “Piaceva a tutti e due. Litigavano per lei. Una signorina brava, seria e dolce, a figghia ru zu…. Molto carina, molto riservata”.

Nino, l’ex operaio, non contiene la sua rabbia: “Hanno preso l’assassino, hanno il colpevole. Non si parlerà più di noi, dei poveri, degli sfortunati che sono caduti sul marciapiede. C’è voluto il morto perché questa città si ricordasse della sua miseria. Ma tutto finirà di nuovo nel buio”.

Le notti stellate sono cattive e rendono cattivi; qualcuno è riuscito a cavarsela. ‘Gnaziu che prima si rifocillava alla Missione ha svoltato. Ha preso i gradi di posteggiatore abusivo, poco distante, ed è invidiato, manco avesse vinto il concorso di dirigente comunale. Quaggiù sono rimasti gli ultimi degli ultimi, tra ferocia e solidarietà, tra inferno e purgatorio, quelli che muoiono un po’ e per sempre. Qui la vita è un ricordo annerito.

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13 Marzo 2017, 17:05

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