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Un miliardo per le spa degli amici | Nessuno controlla le Partecipate

Tanto sono costate le aziende regionali nell’era Crocetta. La Corte dei conti: troppe anomalie

Il rendiconto della Regione
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PALERMO – Solo nell’era Crocetta sono costate un miliardo di euro. Peccato che il settore delle società partecipate sia “fuori controllo”. Nonostante il governatore si sia impegnato, in questi anni, a inviare a capo delle aziende regionali – specie quelle più ‘popolose’ – amministratori a lui molto vicini. Graditissimi.

I risultati? Pessimi, secondo la Corte dei conti, che ha fotografato il sistema delle partecipate nelle pagine del rendiconto. A cominciare proprio dai costi. Che non sono mai sensibilmente calati, nonostante gli annunci del presidente, fin dall’alba della legislatura. I carrozzoni regionali, infatti, anche nel 2016 sono costati oltre 250 milioni di euro. Una cifra che, come detto, ricalca quella degli anni precedenti. Per giungere, solo nella legislatura in corso, a una spesa complessiva a nove zeri. Più di un miliardo di euro.

Soldi dovuti soprattutto al personale. Numerosissimo. A rappresentare una vera e propria Regione parallela, mai realmente intaccata dalla rivoluzione crocettiana: sono sempre lì, più di settemila dipendenti, chiamati nelle aziende quasi sempre senza una vera selezione. E altri, il governo e l’Ars stanno cercando di aggiungere. Sono i casi, citati nel rendiconto, della Crias e dell’Iridas ad esempio. Norme approvate da Sala d’Ercole ma che la Corte, sia in veste di Controllo che di Procura, ha censurato fortemente. “Nel 2016 – scrive ad esempio la Corte – sono state introdotte disposizione relative agli enti vigilati, ai consorzi di bonifica, alle società partecipate, le quali – più che a risparmi di spesa – sembrano orientate alla salvaguardia del personale”. Altro che rivoluzione, insomma. Altro che risparmi. Perché in questo settore, annota la Sezione di controllo, anche le “disposizioni sulla revisione della spesa” hanno dato “risultati alquanto modesti”. Anzi, le spese di funzionamento di questi enti “hanno subito un sostanziale aumento per effetto del riconoscimento nel corso dell’anno di numerosi debiti fuori bilancio”.

Ancora tutte lì, le costosissime partecipate. O quasi tutte lì, se si esclude un gruppetto di enti con personale non molto numeroso finite in liquidazione. Anche perché la tante volte annunciata riforma delle partecipate è rimasta sulla carta. “Neppure nel 2016 – scrive infatti la Corte – è stato attuato l’articolo 39 della legge regionale 9 del 2015, che aveva previsto l’approvazione di un piano di riordino degli enti regionali, al fine di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica”. Un riordino scritto all’interno di una legge. E mai diventato davvero operativo, quindi.

Enti che, tra l’altro, agiscono un po’ come repubbliche autonome. Quasi slegate dal socio unico Regione. “L’inerzia degli enti nel rispondere alle richieste di informazioni da parte della Ragioneria generale – scrive la Corte – è indicativa di un’oggettiva e permanente debolezza intrinseca dei controlli”. E così, al di là del “caso” raccontato dal Procuratore generale d’Appello Pino Zingale, relativo a una ispezione della Regione a Sicilia e-servizi fallita per un “alt” di Antonio Ingroia, vicenda smentita dallo stesso amministratore unico dell’azienda, dalle pagine della relazione delle Sezioni riunite emerge comunque questo clima di libertà totale, nonostante i soldi che garantiscono gli stipendi del personale e i compensi degli amministratori unici e dei consiglieri di amministrazione siano pubblici.

E gli amministratori, in particolare, sono in molti casi fedelissimi del presidente della Regione. A cominciare proprio dall’ex pm Antonio Ingroia, proseguendo con l’amministratore unico di Riscossione Sicilia Antonio Fiumefreddo. A questa azienda, la corte dedica più di un passaggio. Segnalando, ad esempio, la netta crescita delle riscossioni. Ma c’è anche dell’altro. “Queste Sezioni riunite non possono non rilevare – si legge nella relazione – che le pesanti perdite dei bilanci societari negli ultimi anni hanno portato il patrimonio netto di ‘Riscossione Sicilia S.p.a.’ da una consistenza di 40,7 milioni di euro alla data del 31 dicembre 2010, ad un valore negativo di 562 milioni di euro al 31 dicembre 2015, con una quota di partecipazione della Regione Siciliana del 99,95%. I risultati operativi dell’esercizio 2016, evidenziati nel relativo preconsuntivo ed i dati previsionali relativi all’esercizio 2017, contenuti nel Piano Economico Annuale, – prosegue la relazione – confermano la situazione illustrata, con un reddito netto negativo nel 2016 di 10,4 milioni e registrano un risultato peggiore rispetto al 2015: peraltro, il risultato del 2017 è previsto anch’esso negativo per circa 7,7 milioni”.

Oltre a Riscosisone, il “grosso” dei costi delle partecipate poggia su altre tre aziende: si tratta di Seus, Sas e Ast. A capo dell’azienda dei trasporti Massimo Finocchiaro (finito col governatore dentro la recente inchiesta su politica e aliscafi), a capo dei Servizi ausiliari Sicilia il gelese Sergio Tufano, mentre alla “guida” delle ambulanze della Seus l’ex componente dell’ufficio di gabinetto Gaetano Montalbano. Tutti fedelissimi del presidente della Regione.

Aziende, le partecipate nel loro insieme, che hanno spinto la Corte dei conti a lanciare un vero e proprio allarme. In queste spa si registrano “difformità dei documenti contabili rispetto alla vigente normativa, bilanci di previsione e variazioni di bilancio presentati ad esercizio di riferimento scaduto, rendiconti precedenti al 2015 non approvati, gestione provvisoria autorizzata per l’intero anno, mancata trasmissione delle relazioni semestrali dei collegi dei revisori”. Un sistema fuori controllo. Costato, solo nell’era Crocetta, più di un miliardo.


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