Partecipate, la carica dei diecimila | Nessun concorso, tutti alla Regione

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02 Maggio 2018, 18:34

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PALERMO – Il paradosso è dietro l’angolo. Tra pochi anni, i lavoratori delle società “partecipate” della Regione potrebbero essere più numerosi dei Regionali stessi. È il frutto di due fattori che tirano i lembi di questo personale pubblico in due direzioni diverse. I prepensionamenti degli ultimi anni, infatti, hanno fatto oggettivamente dimagrire i “ruoli” dell’amministrazione regionale. Le ultime stabilizzazioni, insieme ad altre, stanno facendo crescere il numero degli addetti ai lavori delle spa siciliane.

Insomma, se fino a quattro, cinque anni fa, il rapporto tra lavoratori delle partecipate e quelli della Regione era di uno a tre (circa 7 mila a fronte dei quasi 20 mila), dal primo gennaio prossimo questo sarà di uno a “uno e mezzo”: se alla Regione, insomma, lavoreranno circa 15 mila persone, quelle delle società partecipate (che dovrebbero, in fondo, fornire servizi che non possono essere espletati dalla Regione stessa) arriveranno a diecimila. 

È l’effetto dello sbarco degli ex Pip alla Resais, circa 2.800 precari che verranno stabilizzati appunto nella società-parcheggio regionale grazie a una norma contenuta nella prima Finanziaria del governo Musumeci. Con loro, ecco una ventina di lavoratori dei Consorzi agrari. Si andranno ad aggiungere ai 400 dipendenti attualmente in servizio. Ne verrà fuori, insomma, la più grande società regionale, da oltre 3.200 dipendenti, più o meno al livello di quella che attualmente rappresenta l’azienda più “popolata”: la Seus.

E dire che la Corte dei conti, nell’ultimo giudizio di parifica, aveva puntato l’indice proprio contro “l’ipertrofico espandersi del perimetro pubblico attraverso la creazione di enti e organismi esterni, di natura societaria e non, che hanno assorbito ingenti risorse pubbliche, non solo per il personale. Le società partecipate dalla Regione, – proseguivano i magistrati contabili – soprattutto quelle totalitarie o maggioritarie, si sono dimostrate geneticamente prive di una prospettiva reddituale e di sostenibilità economica; spesso, l’assunzione o il mantenimento della partecipazione è avvenuto in mancanza delle propedeutiche analisi della missione pubblica da perseguire e dei benefici attesi”.

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Ma ovviamente il problema non sono solo gli ex Pip, visto che la norma che prevede il transito in Resais non prevede ulteriori oneri per la Regione. Anche se a Palazzo dei Normanni non sono pochi quelli che ritengono la norma a rischio impugnativa da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri. Si tratta infatti di personale che al momento beneficia di un sussidio versato dall’Inps anche se pagato dalla Regione, mentre il passaggio in Resais comporterebbe l’assunzione a tempo indeterminato, probabilmente part-time, in una società industriale, con l’onore di pagare i contributi a queste persone ai quali finora la Regione non versa neppure un euro. Inoltre, problema non secondario è la tipologia contrattuale che andrebbe applicata agli ex Pip. Alla Resais sono in attesa di capirne di più, sotto il profilo giuridico e soprattutto sotto quello finanziario anche perché la società si limiterebbe a gestire il personale assegnandolo alla pubblica amministrazione e a pagare gli stipendi comunque a carico della Regione.

Resta però l’ampliamento costante di un settore che invece, stando ai continui richiami della Corte dei conti, dovrebbe semmai ridursi, anche gradualmente. E invece, i costi restano quelli che sono: 257 milioni di euro l’anno solo per il personale. Una cifra che non comprende i costi della Resais, considerata un organismo esterno indirettamente partecipati dalla Regione, in quanto società a socio unico dell’Espi (Ente siciliano per la promozione industriale) in liquidazione, a sua volta ente strumentale della Regione. Ma la norma che ha portato i Pip alla Resais dovrà passare il vaglio della Presidenza del consiglio dei ministri.

E i dubbi come detto non mancano, anche tra i tecnici. E non a caso proprio la Corte dei conti, esprimendosi su una proposta normativa assai simile, voluta dal governo Crocetta (quello che prevedeva il transito da Resais dei precari dei Comuni) esprimeva le proprie “perplessità laddove consentirebbe, – si legge sempre nel giudizio di parifica – al di fuori degli ordinari percorsi normativi di stabilizzazione, appositamente regimentati, o meglio “nelle more” degli stessi, l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, prescindendo da procedure concorsuali e selettive, nonché in mancanza di un effettivo fabbisogno del soggetto ricevente”.

Un po’ come sta accadendo adesso. “Diventa ancora più attuale, – scriveva pochi mesi la Corte dei conti – alla luce degli esiti dell’indagine sul piano di razionalizzazione delle società partecipate regionali, il monito affinché, nell’attuazione dell’annoso processo di riordino e di razionalizzazione delle società partecipate, oggetto di continue sovrapposizioni normative, eventuali passaggi di personale, ove consentiti dalle disposizioni legislative in materia e dalle regole di coordinamento della finanza pubblica, siano strettamente legati a puntuali valutazioni del fabbisogno rispetto all’assetto organizzativo e alla sostenibilità finanziaria delle società destinatarie dei nuovi dipendenti, assistite da una selezione qualitativa e quantitativa delle professionalità e delle tipologie contrattuali necessarie in relazione ai compiti istituzionali”. Passaggi e verifiche sul fabbisogno dell’azienda di cui al momento sembra non esserci traccia.

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02 Maggio 2018, 18:34

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