03 Aprile 2015, 06:00
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PALERMO – Le uniche società da salvare sono quelle dei fedelissimi. E già che c’è, il governo ha deciso di alzare gli stipendi a tutti: potranno arrivare ai livelli dei dirigenti generali della Regione. Anche 160 mila euro annui.
Ci aveva già provato, Crocetta, nel caso di Sicilia e-Servizi, Irfis, Ast e Riscossione sicilia. Con una norma nella scorsa finanziaria che puntava ad abbattere il tetto agli amministratori delle aziende partecipate. Aziende popolate da amministratori assai graditi al governatore: dall’ex pm Antonio Ingroia, all’avvocato Lucia Di Salvo, dal segretario generale Patrizia Monterosso all’ex “braccio destro” Stefano Polizzotto. Norma ovviamente finita al centro delle polemiche e uscita dal Parlamento fortemente ridimensionata. L’unica società a ricevere la “deroga” è rimasta quella addetta alla riscossione. Per tutte le altre, è rimasto il limite invalicabile di 50 mila euro annui. Il governatore antimanciugghia e cacciatore di sprechi, però, ha deciso che quella cifra è troppo bassa. Un povero amministratore non può guadagnare così poco.
La marcia indietro del governatore è stata messa nero su bianco in un articolo del decreto che rappresenta il nuovo piano di riordino delle società partecipate. Un provvedimento che sembra racchiudere la parabola triste di un governo che aveva giurato guerra alla casta e ha finito, molto semplicemente, per sostituirne una (più o meno nuova) alla vecchia. Era il novembre del 2012. Rosario Crocetta convocava la sua prima giunta di governo. Il presidente in quei giorni, in attesa di sciogliere il nodo sul nome dell’assessore, deteneva la delega all’Economia. Fin da quella prima riunione dell’esecutivo, il presidente mise nero su bianco il primo provvedimento di riduzione agli sprechi: il tetto agli amministratori delle partecipate era di 50 mila euro? È troppo, lo riduco del 20 per cento, disse in sostanza Crocetta, con una delibera firmata da lui. Alla quale è seguito il nulla.
Anzi, dopo due anni e mezzo, Crocetta ha cambiato completamente idea. E nel decreto di riordino delle partecipate ha elevato in maniera esponenziale il corrispettivo destinato agli amministratori che svolgeranno anche le funzioni di direttore generale. Un intervento che potrebbe portare (ma non è affatto scontato) a una riduzione complessiva delle spese per gli organi delle società. Ma che concentrerà nelle mani di pochi fedelissimi la maggior parte delle risorse. Dei soldi.
Cosa prevede infatti il piano di riordino? Intanto, come abbiamo scritto ieri, il governatore ha deciso di tenere in piedi certamente due sole società: Sicilia e-Servizi e Riscossione Sicilia. La prima, guidata dall’ex pm Antonio Ingroia, è stata oggetto per anni di polemiche su sprechi e clientele. Fino ai giorni nostri, quando la Procura della Corte dei conti ha deciso anche di “rinviare a giudizio” lo stesso Crocetta e Ingroia per le spese legate alle assunzioni degli ex dipendenti del socio privato nell’azienda dell’informatica, oggi completamente pubblica. Riscossione Sicilia, invece, dopo le dimissioni di Lucia Di Salvo è presieduta da Antonio Fiumefreddo, ex soprintendente del Bellini di Catania e in passato assai vicino a Raffaele Lombardo, governatore poi condannato in primo grado per mafia. Fiumefreddo per qualche ora fu anche il nuovo assessore ai Beni culturali nel contesto del “Crocetta bis”. Una designazione naufragata tra accuse e sospetti.
Loro due al momento, sono gli unici quindi a guidare società che, stando al piano di riordino, sono state considerate “indispensabili”. Per altre mega-aziende (Seus, Sas, Ast, Sviluppo Italia Sicilia, Irfis, Mercati agroalimentari e Parco scientifico e tecnologico) il governo si prenderà un po’ di tempo per riflettere. Nel frattempo, però, anche per gli amministratori di queste società il tetto da 50 mila euro sarà solo un lontano ricordo. Un rudere della rivoluzione.
Il Piano parla chiaro. Le società verranno divise in due fasce in base al valore della produzione e del numero dei dipendenti. Il trattamento economico annuo dell’amministratore unico che assumerà anche le funzioni di direttore generale sarà dato dalla somma di alcune voci del Contratto collettivo dei dirigenti regionali. In “soldoni” a Ingroia e Fiumefreddo andrà uno stipendio tabellare di circa 88 mila euro lordi, dati dalla somma di due voci. A queste somme si aggiungerà la retribuzione di posizione che oscillerà tra i 31 e i 53 mila euro annui lordi. A questa, poi, va sommata anche la retribuzione di risultato, che non potrà superare il 30% dell’indennità di posizione (in pratica, tra i 9 e i 15 mila euro lordi). Insomma, il nuovo tetto per questi amministratori oscillerà tra i 130 e i 156 mila euro lordi annui. In pratica, lo stipendio di un dirigente generale della Regione (quasi sempre, però, un dipendente di ruolo della Regione). Senza contare il “trattamento di missione” equiparato a quello dei dirigenti generali.
Agli amministratori delle società di “fascia due”, invece, andrà la stessa indennità abbattuta del 30 per cento. Il loro “stipendio”, quindi, sarà compreso tra i 90 e 110 mila euro lordi annui. Oltre a Ingroia e Fiumefreddo, il regalino andrebbe, se non verranno cambiati i vertici delle società, agli attuali presidenti Dario Lo Bosco, Carmelina Volpe, Rosario Basile, Emanuele Zappia, Roberto D’Agostino, Giuseppe Di Stefano e Gaetano Montalbano. Quest’ultimo è anche uno dei componenti dell’ufficio di gabinetto dello stesso Crocetta.
Un bel “guadagno”, insomma, rispetto ai 50 mila euro che il governatore, appena due anni e mezzo fa, considerò persino “troppi”. Al punto da deciderne la riduzione. Nel frattempo, e nelle stesse ore, la Finanziaria del governatore chiede sacrifici a tutti. Per evitare un default sempre più vicino. Tagli destinati soprattutto a quei regionali che quantomeno, nella stragrande maggioranza, devono il loro stipendio e le loro pensioni al superamento di un regolare concorso. E non al fatto di essere membro dell’esclusivo cerchio magico del governatore.
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03 Aprile 2015, 06:00