22 Giugno 2017, 13:57
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PALERMO – C’è qualcuno che non la racconta giusta. O quantomeno, che non la racconta fino in fondo.
Hotel delle Palme, centro di Palermo, tre giorni fa. Nel corso della direzione regionale del Pd, uno dei momenti più “classici” della partecipazione partitica, si “brinda” al modello-Orlando. Senza parlare di modello, per carità. Ne’ di “laboratorio”, ci mancherebbe. Quella delle amministrative palermitane però, per il segretario Raciti e per i tanti esponenti democratici che si sono alternati al microfono, è una vittoria politica. Politica nel vero senso della parola. Un vittoria, insomma, frutto della partecipazione dei partiti, seppur nella forma assai discreta di liste ambigue e camuffate.
Palazzo delle Aquile, centro di Palermo, pochi giorni fa. Calde le trattative per la composizione della nuova giunta di Leoluca Orlando. Il sindaco pare che non voglia politici attorno al tavolo dell’esecutivo. Tecnici, solo tecnici, immancabilmente tecnici. Perché “civica” fu la vittoria. Civico fu il progetto vincente. I partiti, la politica non c’entrano.
C’è qualcuno, allora, che non la racconta giusta. La vittoria di Orlando è una vittoria della politica o del civismo? Probabilmente di entrambi. E di nessuno. Perché fondate sono solo in apparenza, seppur in un equilibrio miracoloso, le retoriche degli uni e degli altri. Il Partito democratico che brinda a un successo politico, in effetti, sa bene come si è giunti al coinvolgimento nel progetto di Orlando. Sa bene che Orlando quell’accordo non l’ha sottoscritto con esponenti di liste civiche, ma con esponenti di partito. Con politici, insomma. E per andare a spaccare il capello in quattro, tra i politici che hanno deciso di prendere parte all’impresa del sindaco uscente e rivincente, ecco anche uomini del centrodestra che più centrodestra non si può (del vecchio centrodestra, cioè, nonostante siano passati dal “nuovo”), compresi cuffariani sparsi come granella di passato sulle liste civiche, che più civiche non si può, del Professore.
La politica, insomma, è tutta là. È nella soddisfazione di Fausto Raciti e Antonello Cracolici, nella visita di Davide Faraone al comitato di Orlando dopo i primi exit poll, nella presenza all’hotel Piazza Borsa della capogruppo Dem all’Ars Alice Anselmo e di assessori ed ex assessori di Crocetta. La politica è tutta lì, nei comunicati stampa dei leader siciliani del partito di Angelino Alfano, nei tremila e rotti voti di Francesco Scarpinato politico che ha navigato a lungo nel centrodestra, nei componenti degli uffici di gabinetto degli assessori regionali eletti consiglieri, nelle note vittoriose dei centristi di D’Alia: “La politica ha battuto il populismo”, la rivendicazione del capogruppo centrista Forzese. Tutti consapevoli, dati ufficiali alla mano, ad esempio, che l’otto per cento abbondante della lista “Democratici e popolari”, insieme ai tanti voti degli ex Udc nelle liste orlandiane, e i tanti degli esponenti Dem piazzati in altre liste civiche, hanno consentito al Professore di scavallare il quaranta per cento, e piazzare il colpo decisivo già al primo turno. Evitando e aggirando così le insidie, sempre presenti, dei ballottaggi.
Eppure, fin dai primi minuti, anzi dai primi secondi della nuova era Orlando, il sindaco ha cominciato a prendere le distanze. Ha tenuto i partiti lontani e con sdegno, come se non volesse contaminarsi, fino al punto di litigare in diretta con Enrico Mentana che aveva “osato” accostarlo al Pd. Lo ha detto subito, Orlando, dando una sberla qua e una là. Ai populismi incapaci di governare e agli apparati partitici.
Nel primo caso, per togliere ancora acqua al mulino stellato dell’antipolitica. Perché l’antipolitica, a Palermo, sta dentro la politica. Tutto, nello sconfinato e sempiterno mondo orlandiano. Del sindaco che veste i panni dell’”anti”, dopo essere stato democristiano e nonostante gli oltre trent’anni di vita immerso in questo mondo. Circondato da fedeli e fedelissimi per nulla estranei alla politica palermitana degli ultimi decenni. In un eterno, stabilissimo “grillismo”, dell’”io lo so fare” e “chi siete voi?”. Il civismo, insomma, per dirla con una parola diversa dal populismo pentastellato.
Dall’altro lato, come detto, ecco il buffetto ai partiti. Che a Orlando non piacciono, non possono piacere. Ai quali ha chiesto di nascondersi, di camuffarsi da “civici”. Chiedendo alla politica di non farsi riconoscere come tale. Ma alla fine, da quel camuffamento ha tratto i voti che gli hanno consentito di vincere. E così, qualcuno non la racconta giusta. O quantomeno non la racconta tutta per intero. Spingendo i palermitani sulla soglia di un paradosso apparentemente irrisolvibile e che invece si compone solo in questa città. “E’ stata decisiva la politica” si diceva all’Hotel delle Palme, centro di Palermo; “La politica è rimasta fuori e fuori resterà” , l’eco sghemba di Palazzo delle Aquile, pochi isolati più in là. È la politica dell’antipolitica. O viceversa. In fondo, fa lo stesso.
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22 Giugno 2017, 13:57