09 Maggio 2023, 17:48
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“Siamo con le spalle al muro e bisogna prendere una decisione: la Regione deve trovare una soluzione per sospendere i pagamenti del cosiddetto decreto Payback per i fornitori della sanità”. Nicola D’Agostino, deputato di Forza Italia all’Ars, parla della norma che riguarda le aziende che assicurano al sistema sanitario gli strumenti essenziali per le sale operatorie: dispositivi chirurgici e diagnostici.
Una “norma inspiegabile, contraddittoria e probabilmente illegittima”, dice. E ricorda come questa disposizione, introdotta dalla finanziaria nazionale del 2015 e “riesumata” dal Governo Draghi, rischi ora di travolgere il sistema. “Per sei anni – spiega D’Agostino a LiveSicilia – la misura non era stata applicata, bensì era stata “dimenticata”. Adesso lo Stato si sveglia improvvisamente e procede al recupero per gli anni che vanno dal 2015 al 2018”.
Si tratta di miliardi di euro in tutta Italia, e qualche centinaio di milioni in Sicilia, che dovrebbero versare produttori e commercianti che hanno regolarmente vinto gare d’appalto. “Il provvedimento costringe le imprese fornitrici di medical device alla compartecipazione per risanare il “buco” sanitario, causato dallo sforamento dei tetti di spesa in questi tre anni (2015-2018)”.
D’Agostino, come funziona e cosa prevede il meccanismo Payback ?
“Il meccanismo (regolato da una norma nazionale, ndr) prevede che, in caso di superamento del tetto della spesa prevista da regolari gare, gli ordinativi eccedenti, seppur richiesti dagli ospedali, creano un surplus economico che deve essere ripianato anche dalle aziende private fornitrici. Nello specifico, le forniture e i dispositivi medici, anche se regolarizzate con gare d’appalto, eccedenti il budget previsto dalle singole aziende per l’anno, devono essere recuperate: il 50% lo mettono le aziende sanitarie, l’altro 50% le aziende fornitrici. Una norma inspiegabile e irragionevole”.
Perché?
“Se tu fai una gara d’appalto e quei dispositivi ti servono, li compri e li usi. Come fai a chiedere al fornitore la restituzione del 50%? È una cosa illogica. Pur riconoscendo che si tratta della inevitabile applicazione di una norma nazionale appare irragionevole in primo luogo la norma medesima, ma anche aver deciso di applicarla in maniera così rigida e perentoria, e con tanto ritardo sugli anni fiscali.
Parliamo di aziende che dal 2015 al 2018 hanno realizzato forniture, e pagato le tasse e alle quali stiamo chiedendo di restituire fino al 50 per cento degli ordinativi eccedenti il tetto di spesa delle aziende. Inoltre, sarebbe stato più giusto attendere i ricorsi amministrativi e quelli per incostituzionalità”.
Quindi cosa si può fare giuridicamente?
“L’unica cosa che si può fare è quello che hanno fatto molte aziende private fornitrici, ovvero ricorrere al tribunale amministrativo. La misura (contenuta nell’articolo 18 del decreto Aiuti bis del 6 luglio scorso, ndr) è stata impugnata a livello nazionale da oltre 600 aziende. Che hanno fatto ricorso al Tar competente che, in questo caso, è il Tar Lazio. Questi ricorsi però sono ancora in definizione, il Tar non si è pronunciato, quantomeno non del tutto e non chiaramente.
Le Regioni di fatto non hanno nessuna colpa, nessuna responsabilità perché diventano solo soggetti attuatori di una norma nazionale. Ora, le aziende fornitrici, intimate a pagare dalle Regioni, devono procedere con il pagamento. Il che significa che alcune possono chiudere perché non hanno queste somme. C’è anche un principio di costituzionalità, che pare verrebbe violato”.
A rischiare maggiormente sono quindi le piccole e medie imprese …
“Esattamente. Dopo sei anni il recupero di queste somme getta nel panico le aziende fornitrici e mette, alcune di loro, in una condizione di prossimo fallimento, soprattutto quelle più piccole. Le aziende grandi, soprattutto le multinazionali, anche se devono pagare centinaia di milioni le pagano e fanno poi da “cannibili”, rispetto ai piccoli, che invece falliscono e liberano così il mercato”.
Cosa può fare la Regione?
“Dovrebbe avere il coraggio di fare un atto amministrativo, ammesso che sia possibile, di sospensione della richiesta di pagamento o di rinvio. Mi pare ci sia un precedente di altre regioni. Prima fra tutte la Sardegna, che ha già provveduto alla sospensione del proprio decreto per via dei tanti ricorsi già presentati. Mi auguro che lo stesso possa fare la Regione Sicilia. Fare un atto amministrativo significa comunque che il governo, l’assessore, il direttore generale del dipartimento strategico della Sanità, si assumono la responsabilità di bloccare questi pagamenti. Non è una cosa così semplice: è facile a dirlo, difficile a farsi”.
Si rischia quindi il blocco delle forniture delle aziende agli ospedali?
“Questo è un concetto relativo. Se io fallisco e nel frattempo sto continuando a fornire perché ho vinto gare, nel momento in cui fallisco non fornisco più. È anche vero che si troverà nel frattempo qualcuno che fornirà. E non vorremmo che poi alla fine chi continua a fornire sono quelli grossi, che hanno “cannibalizzato” i piccoli con questo escamotage.
Dispositivi salvavita, strumenti per dialisi, valvole cardiache, protesi e ferri chirurgici: sono solo alcuni dei dispositivi medici che sarebbero mancati negli ospedali se queste aziende non avessero rispettato l’ordine di consegna. Se la legge viene applicata così come dovrebbe essere, i fornitori devono dare l’importo richiesto. Molte aziende non riusciranno a pagare queste penali, andranno in crisi e già oggi rischiamo di avere problemi nelle strutture sanitarie”.
Lei aveva chiesto nei mesi scorsi la sospensione del decreto e un intervento al governatore Schifani. Riscontri?
“Le richieste a Schifani arrivano da parecchio tempo anche dalle aziende fornitrici attraverso un appello pubblico. Spero che l’assessore e il nuovo dirigente generale riescano a trovare una soluzione per risolvere questo incredibile e gravoso problema. L’impasse va, comunque, risolto”.
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09 Maggio 2023, 17:48