23 Settembre 2023, 06:50
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CATANIA – “Ca’ è u cani”. Poche parole sussurrate, una vendetta. Ecco la frase in codice per ammazzare il boss Giuseppe Mancari detto ‘U pipi’. Un esponente di peso, reggente dei Tomasello – Mazzaglia, affiliati ai Santapaola, anche durante le faide che hanno insanguinato la provincia di Catania. Un paio di pallottole erano per lui: il pentito Vincenzo Pellegriti ha svelato (TUTTI I NOMI) i particolari agli inquirenti coordinati dal Pm Francesco Puleio.
Il gruppo di fuoco, secondo il collaboratore Pellegriti, doveva essere composto da “Mario Venia, Gregorio Gangi e Vincenzo Panebianco”. L’ordine lo avrebbe dato un esponente di peso: Alfio Monforte, reggente del clan poi sostituito da Mancari.
Alfio Monforte detto ‘U mbrogiu’ era un boss di peso e nell’hinterland etneo lo spessore criminale si misura anche col sangue versato. Nel 2013 viene incendiata la casa della moglie di Alfio Monforte, secondo gli inquirenti questa intimidazione ha portato all’omicidio di Nicola Gioco, nipote di Alfredo Maglia, assassinato il 28 ottobre dello stesso anno dentro un garage ad Adrano. Numerosi gli omicidi.
Pellegriti tira in ballo Mario Venia, “sorvegliato speciale e pregiudicato per furti, reati in materia di stupefacenti, plurime violazioni della sorveglianza speciale, partecipazione ad associazione mafiosa”, annotano i magistrati
“Venia – svela il pentito – mi disse che Alfio Monforte aveva dato l’ordine di uccidere il Mancari a lui insieme a Gregorio Gangi e Vincenzo Panebianco. Il Venia però mi raccontò che al momento di andare a sparare al Mancari lui non se la sentì e fece andare solo Gregorio Gangi che guidava il motorino e Panebianco che sparò, mentre Venia era presente sui luoghi. Ma c’era un altro personaggio, un certo “Graziano, camionista amico di Alfio Monforte”. Con il telefonino avrebbe dato l’avvertimento, per sparare nel momento giusto. Il camionista fece una telefonata molto breve, avvisandoli dell’arrivo di Mancari: “Ca’ è u cani!”. La vendetta fu servita.
Il collaboratore svela anche un altro particolare, il gruppo di Monforte avrebbe provato anche a uccidere lo stesso Venia. Secondo quanto emerge dai verbali di Pellegriti, Graziano il camionista avrebbe fatto salire Venia in auto insieme a Riccardo Tomasello, ma lui avrebbe capito tutto: si sarebbe salvato telefonando al padre e dicendo ad alta voce con chi si trovasse.
Pellegriti ricorda che Monforte era andato a parlargli “con aria minacciosa”. Il clan di Biancavilla era frammentato in molti gruppi interni. Il collaboratore a quei tempi era vicino al boss Amoroso. Con i capi si pianificava la rete di approvvigionamento della droga: si trattava di un fiume di soldi. Lui acquistava gli stupefacenti da Gregorio Gangi. A partire dal 2015, dopo la morte di Alfredo Maglia, “i suoi fratelli e Placido Tomasello detto ‘U canuzzu’ erano stati messi da parte ed era stata loro tolta anche l’agenzia di trasporti con camion di Alfio Monforte e di Pippo Amoroso”. Si tratta di una società del valore di 5 milioni di euro, secondo i carabinieri: MN Logistic. A quel punto il boss Mancari si schiera con Tomasello e i Maglia “dicendo di lasciare a loro almeno questa attività per sopravvivere e fu per reazione a questo che gli spararono”. Scatta la vendetta.
Giovanni La Rosa è un collaboratore di giustizia che ha provocato un vero e proprio terremoto nel clan. Suo cognato è il boss Pippo Amoroso e sua cugina è sposata con il figlio del boss Mancari. Nel carcere di Bicocca proprio Amoroso gli confida di aver dato l’ordine di ammazzare Mancari “perché lo stesso voleva riprendersi varie attività del clan mafioso ma prima di tutte voleva l’agenzia dei trasporti che era la cosa più redditizia”.
“Mi disse mio cognato che Mancari – svela La Rosa – già quando era libero lo stesso Pippo Amoroso, stava creando un suo gruppetto nel quale c’era anche…Piero ed il figliastro di Carmelo Vercoco nel senso che è figlio della moglie di Vercoco. Anche mio nipote Fabio Amoroso dopo il suo arresto mi disse che Mancari stava acquistando potere a Biancavilla e stava togliendo tutto sia a Monforte che a Pippo Amoroso che nel frattempo erano detenuti”. In ballo c’era la gestione dell’agenzia di trasporto, un giocattolino d’oro del clan “che era solo un modo di gestire le estorsioni ai danni dei padroni dei camion e delle ditte e magazzini che facevano i trasporti”.
Dopo il tentato omicidio, il boss si ribella e manda un messaggio ai malavitosi in carcere. Incarica Vincenzo Pellegriti di spacciare “liberamente a Biancavilla senza dover dare soldi per i detenuti”. Uno sfregio ai reclusi e la scia di sangue non si fermò più.
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23 Settembre 2023, 06:50