15 Settembre 2016, 05:48
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PALERMO – “Sono i mafiosi a dovere andare via, io non mi arrendo”, diceva Stefano Lo Verso per spiegare la scelta di rinunciare al programma di protezione per tornare a vivere a Ficarazzi. Qualche settimana fa è stato necessario il suo allontanamento.
È stato il primo e unico collaboratore di giustizia a fare rientro in Sicilia, rinunciando di fatto alla protezione di Stato. Le cose sono cambiate lo scorso aprile quando, anche grazie alle sue dichiarazioni, sono stati inflitti due nuovi ergastoli per l’omicidio di Andrea Cottone. La paura di possibili ritorsioni potrebbe avere reso necessario il trasferimento in una località segreta. Una paura che si colloca in un contesto che il suo legale, l’avvocato Monica Genovese, definisce di “progressivo isolamento” in riferimento al tentativo di Lo Verso di vivere una vita normale a Ficarazzi.
Il collaboratore nel 2012 era tornato nella sua abitazione dove accettò di parlare con Livesicilia. Nel 2013 la Corte di Cassazione confermò la sua condanna a 5 anni di carcere per associazione mafiosa. Gli erano state concesse le attenuanti generiche, ma non quelle speciali per i collaboratori di giustizia. Solo perché, spiega il legale, in quel processo non erano emersi elementi di novità dalle sue dichiarazioni.
Si era pentito da uomo libero, quando attendeva di tornare in cella per scontare pochi mesi. “Voglio cambiare vita, voglio rompere con il passato. Leggendo la Bibbia ho capito tante cose”, disse ai magistrati. Le novità nei suoi racconti sarebbero arrivate successivamente. Faccende di pizzo e omicidi, tutte riscontrate. Ma anche storie di protezioni di Stato garantite da chissà chi a Bernardo Provenzano e difficili da dimostrare. Qualcuno ha pure sostenuto che si fosse pentito per salvare i suoi beni finiti sotto sequestro. Un sequestro, però, annullato nel merito perché Lo Verso ha dimostrato la liceità del suo patrimonio.
Ad aprile scorso la Corte d’assise ha condannato all’ergastolo a Ignazio Fontana e Giuseppe Comparetto per l’omicidio di Andrea Cottone. “Fine pena mai” che si è aggiunto a quelli di Michele Rubino, Onofrio Morreale e Nicola Mandalà. Cottone, imprenditore scomparso nel novembre 2002, a Ficarazzi, sarebbe stato strangolato e il corpo sciolto nell’acido. Mario Cusimano, un altro collaboratore di giustizia, descrisse la fase preparatoria del delitto in cui Biagio Picciurro e Salvatore Pitarresi (allora alla guida di una cosca di Villabate rivale del clan Montalto di cui faceva parte la vittima) negarono il via libera per l’omicidio. A quel punto sarebbero stati scavalcati. Nicola Mandalà, che dopo l’arresto dei Montalto aveva preso il potere Villabate, si sarebbe fatto autorizzare da Bernardo Provenzano.
L’uomo incaricato di fare da esca per convocare Cottone all’appuntamento con la morte sarebbe stato Lo Verso che con la vittima condivideva alcuni interessi economici. Cusimano collocò l’omicidio all’inizio della stagione invernale ricordando un particolare: Cottone aveva addosso 4 mila euro in contanti e un assegno da sette mila euro. Soldi che Cusimano e Rubino, in parte, avrebbero utilizzato per comprare capi di abbigliamento firmati in una nota boutique del centro di Palermo. Sarebbe stato poi Mandalà a trasportare il corpo di Cottone nel luogo dove sarebbe stato sciolto nell’acido. Francesco Campanella, anche lui collaboratore, aggiunse che Cottone era uno che dava fastidio “si stava allargando troppo, rompeva le scatole… va in giro, va dicendo, va facendo”.
E così sarebbe scattata la trappola che Lo Verso disse di conoscere bene perché vi partecipò in prima persona. Non sapeva cosa stesse per accadere e probabilmente anche lui è scampato alla morte. Ebbe la fortuna che un uomo, casualmente transitato sul posto, lo avesse visto e salutato. E per evitare guai Lo Verso sarebbe stato risparmiato. Il collaboratore di giustizia ha riferito di avere convocato Cottone al minigolf-pizzeria di Ficarazzi per discutere di alcuni furti non autorizzati.
I difensori degli imputati hanno respinto la ricostruzione, sostenendo anche che il racconto di Lo Verso fosse stato ‘viziato’ dalla volontà di evitare l’ergastolo. Se era lui, come hanno detto altri pentiti, il capomafia di Ficarazzi, è quantomeno anomalo che non fosse stato informato del delitto. La ricostruzione dell’accusa, e con essa l’attendibilità di Lo Verso, ha retto davanti ai giudici del primo grado di giudizio.
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15 Settembre 2016, 05:48