21 Aprile 2014, 06:00
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PALERMO – Per favore, non rubateci il 23 maggio. Non sporcatelo, non inquinatelo con le vostre beghe. Perché lo sappiamo che l’occasione è ghiotta, e l’abbiamo capito verso quale approdo conduce il dibattito. Lo si capisce dalle parole che accompagnano gli scontri sulle candidature, dai proclami sull’antimafia migliore che si sollevano per escludere l’uno o includere l’altro. E il motivo è facile da intuire: quest’anno, il ventiduesimo anniversario della strage di Capaci coinciderà con l’ultimo giorno di campagna elettorale per le Europee e le Amministrative. Si caricherà, all’ombra dei comizi conclusivi, di valenze forti. Di un’invasione di campo che, già oggi, appare naturale.
Sono anni che a Palermo, e in Sicilia, si scontrano le fazioni dell’antimafia. Francesco Foresta, qualche giorno fa, l’ha chiamata “l’antimafia dei tradimenti e delle carriere”, ma in questi anni ne abbiamo viste tante, di declinazioni: c’è chi ha parlato dell’antimafia degli affari, chi ha descritto quella delle parole, chi ha raccontato quella degli spot o del silenzio. E poi, naturalmente, c’è l’antimafia politica: quella che si suggerisce quando bisogna “spingere” una giunta, una lista, una nomina. Eppure è fin troppo banale dire che l’antimafia è un concetto pre-politico: non può, non dovrebbe esistere in ciò che chiamiamo Stato un solo individuo che accetti l’esistenza di un anti-Stato. La storia delle infiltrazioni nelle istituzioni, diranno i difensori dell’antimafia politica, dimostra il contrario. Ma dimostra anche che i proclami servono a poco. Che è fin troppo facile assolvere la politica a parole, quando la stessa politica non riesce ad emendarsi con i fatti.
La richiesta che bisogna fare ai partiti è naturale. Quel giorno, il 23 maggio, è sempre stato di tutti. È sempre stato il giorno dei bambini che arrivano all’Ucciardone da tutta Italia, il giorno dell’espressione di un sentimento genuino, il giorno della reazione di una città all’orrore che l’ha ferita. Di una città che rinuncia alle bandiere, che rinuncia persino alle fazioni della stessa antimafia. Così dev’essere anche quest’anno: una festa, non un grande comizio. Non una passerella. Sarebbe un segno di decenza, per i politici, cedere il passo. Lasciare, per un solo giorno, la scena. Per rendere a Giovanni Falcone, a Francesca Morvillo e agli agenti di scorta un tributo di opportunità. Senza bandiere. Senza schieramenti. Senza sporcare il 23 maggio.
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21 Aprile 2014, 06:00