Perché il Pd affonda al Sud |La lunga storia di un abbandono

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12 Marzo 2018, 06:12

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Il 4 marzo Partito democratico ha racimolato l’11 per cento in Sicilia. In Molise il 15, in Campania e Calabria circa il 14, poco meno in Abruzzo, il 13 e mezzo in Puglia. Il Partito democratico al Sud quasi non esiste più. Forse anche perché il Sud da un pezzo – o da sempre? – quasi non esiste più per il Partito democratico.

Prima di avventurarsi a spulciare i provvedimenti dei suoi governi per il Mezzogiorno, è opportuno prendere in considerazione un dato. Da anni, da molti anni, il Partito democratico non ha un dirigente nazionale di peso che sia meridionale. Una delle pochissime eccezioni che conferma la regola, l’ex capogruppo Roberto Speranza, lucano, se n’è andato nell’ultima scissione. Nei governi di Matteo Renzi l’unico ministro siciliano era Angelino Alfano. Con Gentiloni è stata ministro senza portafogli Anna Finocchiaro, che in Sicilia si fa vedere un po’ meno di Matteo Salvini.

Da quando il Pd è stato fondato nel 2007 non ha mai avuto un segretario che venisse dal Mezzogiorno. E neanche un vicesegretario (Franceschini, Letta, Serracchiani, Guerini, Martina). Mai. E neanche un presidente dell’Assemblea nazionale. Nessuno, il più meridionale dei quattro è stato Matteo Orfini, romano. E neanche un coordinatore nazionale (sono stati quattro, l’ultimo Lorenzo Guerini, tutti rigorosamente del Centro-Nord). In questa legislatura, il capogruppo alla Camera era il triestino Ettore Rosato, quello del Senato Luigi Zanda, cagliaritano residente a Roma da una vita e sempre eletto nel Lazio. Mentre la delegazione del Parlamento europeo del Pd è guidata dalla milanese Patrizia Toia (lì almeno c’è Gianni Pittella, lucano, capogruppo uscente del gruppo S&D). Diciamocelo, il Sud nel Partito democratico non ha mai contato nulla.

Se si parte dal dato relativo al “capitale umano”, è forse più facile inquadrare il rapporto difficile dei dem col meridione. Che è sempre stato il tallone d’Achille nel Pd, anche nei tempi d’oro, anche quando Renzi sfiorò il 41 per cento alle Europee, nell’Italia meridionale e insulare il Pd si fermò 6 punti sotto la media nazionale.

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E così a questo giro, escluso il collegio di Roma, la città più a sud in cui il Pd ha vinto una sfida al maggioritario è stata Siena. E c’è poco da stupirsi, visto che negli ultimi anni in Sicilia – i numeri delle altre regioni meridionali non sono molto dissimili – si sono bruciati 12 punti di Pil, quasi il doppio del Nord Italia (7%) e si è ampliato il divario con le Regioni più ricche. In un contesto di tale malcontento popolare, di tale sofferenza, l’exploit degli anti-sistema era forse inevitabile. E se di fronte a un partito che prende il 48 per cento in Sicilia si cerca di spiegare il risultato attribuendolo solo al richiamo del “reddito di cittadinanza”, ricorrendo alla comoda caricatura di un popolo di accattoni, questo conferma una certa incapacità di lettura del territorio da parte di un partito che da soggetto di sinistra si è trasformato negli anni in partito delle classi medio-alte, come illustrano oggi gli studiosi dei flussi elettorali. La rabbia e il senso d’abbandono del Sud sono qualcosa di molto più grande della speranza nel reddito di cittadinanza.

C’è poi la questione dei contenuti delle politiche dem. Nell’ultimo biennio il Pd ha cercato di recuperare terreno dopo una lunga distrazione sulla questione meridionale. Ma non è bastato. I vari “piani” per il Sud varati in pompa magna non hanno fatto in tempo a dispiegare effetti. La riforma della scuola ha portato all’esodo verso Nord di tanti meridionali. Il rigore contabile sull’asse Roma-Palermo negli anni di Crocetta ha strozzato la Regione. Il Nazareno da un punto di vista della gestione politica ha mollato la Sicilia da quel dì, basti pensare alla presenza di Renzi nell’Isola a sostegno del candidato presidente Micari, cronometrabile nell’ordine dei minuti. Salvo poi riscoprire la Sicilia quando c’è stato da calare candidature nel Rosatellum, come quella della Boschi, già blindatissima in Trentino Alto Adige, piazzata inspiegabilmente anche in un paio di collegi plurinominali in Sicilia, tanto per esacerbare un po’ gli animi già surriscaldati dei dem siciliani.

Oggi, dopo la batosta di domenica, in casa Pd si è aperta la resa dei conti. In Sicilia, certo. Ma soprattutto a Roma. Tutti vogliono cambiare tutto. Chissà se ci sarà uno che si accorgerà improvvisamente del Sud. Magari già alla direzione nazionale in programma oggi.

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12 Marzo 2018, 06:12

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