17 Settembre 2014, 16:21
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CATANIA – Lotta al racket 2.0: “Salvatore taglia il pizzo”. Gli ingredienti per una campagna sociale di successo ci sono tutti: una canzone ritmata, un testo immediato e ironico e un video virale da condividere sul web. L’idea è del cantautore catanese Paolo Antonio che con il brano “Piacere Salvatore” vuole fare la sua parte nella lotta alle estorsioni: gettare le basi per una rivoluzione culturale attraverso un “utilizzo consapevole e intelligente dei social network”.
Il ricavato delle vendite (il brano è acquistabile su iTunes, Google Play e nei principali store digitali a 99 centesimi) andrà devoluto interamente ai comitati catanesi, palermitani e messinesi dell’associazione antiracket Addiopizzo. Un’iniziativa che reinventa anche il ruolo classico del “cantautore impegnato”, come spiega lo stesso Paolo Antonio, “che non si limita soltanto a veicolare un’idea, ma contribuisce fattivamente attraverso il sostegno di una realtà in prima linea nella lotta al racket”.
La canzone parla di un giovane imprenditore siciliano, Salvatore, che decide di aprire un’attività nonostante le lungaggini burocratiche (rappresentate nel video da un ufficio dell’agenzia delle entrate con tanto di tavolo da ping pong, metafora delle trafile infinite) e la così detta “tuppuliata” da parte della criminalità mafiosa. Anche l’attività del giovane viene presa di mira dagli estorsori, ma Salvatore si ribella e denuncia. Una storia di riscatto e “liberazione”, un argomento molto serio volutamente trattato con ironia: Salvatore si libera del pizzo rappresentato nel video da un pizzetto tagliato da un carabiniere-barbiere con un colpo di rasoio.
“La mafia è un fenomeno culturale prima che criminale”, spiega il cantautore. “Volevo dare speranza ai giovani che vogliono aprire un’attività e molto spesso hanno timore; oggi denunciare è possibile grazie al lavoro di associazioni come Addiopizzo, non è un gesto che isola, ma uno che include”. Una verità che trapela dal racconto di un “Salvatore” in carne e ossa: Filippo Casella imprenditore nel settore dei trasporti. Oggi sui camion della sua ditta campeggia il logo di “Addiopizzo”. Un tempo, invece, le cose andavano diversamente. “Io ho pagato per sette anni. Sette anni d’inferno – racconta. A un certo punto, però, ho capito che non volevano denaro, ma impossessarsi dell’azienda e del territorio. Potevo pagare o denunciare. Ho denunciato. E lo farei di nuovo”.
Da quel giorno la vita di Casella è cambiata, “in meglio”. L’imprenditore si è riappropriato della sua esistenza e gli estorsori sono in carcere. Il consiglio che Casella rivolge alle vittime del pizzo è uno solo: denunciare. “Oggi non ci sono scuse”. “A Catania ci sono forze dell’ordine e magistrati molto competenti e il clima culturale rispetto al 1998 è diverso anche grazie al lavoro di associazioni come Addiopizzo”, continua Casella. “La battaglia alla mafia non si fa soltanto nelle aule di tribunale, è in primo luogo una battaglia culturale”, gli fa eco il sostituto procuratore Pasquale Pacifico. Il presidente dell’Anm etnea plaude all’iniziativa di Paolo Antonio che ha il merito di avere giocato tutto su uno “degli antidoti più potenti contro la criminalità organizzata: l’ironia”.
Un primo passo per lanciare un segnale forte e decisivo per scardinare la mentalità corrente: “La mafia non è invincibile”. Anzi è vero il contrario, ma servono “atti di ordinario coraggio”. Il Pm, ricordando che i maggiori boss locali sono al 41 bis, ha tracciato un sentiero netta: “denunciare non è un’alternativa, ma l’unica strada possibile”. E ancora sono troppo pochi a farlo. Pacifico ha sgomberato il campo da una serie di “luoghi comuni”: “Pagare il pizzo non equivale a una forma di assicurazione, una tassa sulla tranquillità”. Non è così, è vero il contrario: quando un imprenditore comincia a pagare si mette nelle mani dell’organizzazione mafiosa perché poi vi chiederanno il cambio degli assegni scoperti o la possibilità di piazzare in azienda della merce di provenienza delittuosa e non potrete più dire di no. Vi metteranno in una condizione di assoluta soggezione”, spiega.
Il Pm sfata un altro falso mito: non è vero che chi denuncia è più esposto a ritorsioni. La motivazione va ricercata nella “logica di mercato” che guida le organizzazioni mafiose. Una potenziale denuncia che può tradursi nella detenzione carceraria è un “costo”, in termini di risorse, troppo alto. Non a caso le attività più remunerative, come lo spaccio e gli appalti pubblici, sono quelli che fanno più gola. Il pizzo, a oggi, ha un altro scopo: “Affermare la propria presenza sul territorio”.
E’ fondamentale in tal senso il lavoro di quelle realtà che il territorio lo presidiano diffondendo la cultura della legalità come Addiopizzo che può essere sostenuta da un semplice gesto come l’acquisto di “Piacere Salvatore”. “Acquistando il brano ciascuno di noi ha la possibilità di contribuire al lavoro quotidiano, sul territorio, delle nostre associazioni che, seppur in autonomia, lavorano con la stessa passione e serietà per lo stesso obiettivo: l’affermazione di una cultura della legalità e della libertà che passi da gesti semplici, ma concreti”, ha affermato Rosario Lupo di Addiopizzo.
L’iniziativa ha già ottenuto buoni risultati. Sono tanti, infatti, i volti noti che hanno sposato il progetto decidendo di “tagliare il pizzo” scaricando il brano e condividendo il video (interamente autoprodotto): Salvo La Rosa, Giuseppe Castiglia, Lello Analfino dei Tinturia, Matteo Amantia, Antonio Perdichizzi di Confindustria, il sindaco Enzo Bianco e l’assessore alla Cultura Orazio Licandro (entrambi rappresentati questa mattina in conferenza stampa da Livio Gigliuto).
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17 Settembre 2014, 16:21