23 Giugno 2020, 19:12
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CATANIA – I Cursoti Milanesi e i Cappello-Bonaccorsi erano in guerra. Una frizione per il controllo della droga emersa in modo plastico negli anni scorsi. Non dimentichiamo il gruppo di fuoco reso inoffensivo dai poliziotti un po’ di tempo fa. Ma accanto alla faida esterna, ce n’era un’altra interna ancora più violenta. Fibrillazioni che sono messi nero su bianco nell’ordinanza di custodia cautelare del gip Pietro Currò. Il blitz Camaleonte, coordinato dal procuratore Carmelo Zuccaro, l’aggiunto Ignazio Fonzo e le pm Antonella Barrera e Tiziana Laudani, hanno cristallizzato la fortissima frizione che si stava vivendo tra i due clan nel caldissimo 2017. È l’anno anche dell’inizio della collaborazione di un pezzo storico del clan. Impensabile che un boss del calibro di Concetto Bonaccorsi, fratello di Ignazio e zio di Iano Lo Giudice, potesse decidere di voltare le spalle alla famiglia e diventare “un pentito”. Con se si è trascinato il figlio Salvuccio. Un’onta per cugini e fratello che al ‘Passareddu’ (via Poulet) hanno perso ‘presa criminale’. Ed è servita una presa di posizione anche social per ‘rinnegare’ i traditori. “Li consideriamo morti”, si leggeva in qualche bacheca.
Nel primo verbale Bonaccorsi senior e junior non solo “illustravano l’organigramma del clan” ma confermavano i contrasti con i Cursoti Milanesi, in particolare la corrente che fa riferimento a Rosario Pitarà (Saretto u furasteri è ai domiciliari per motivi di salute, ndr) ma “ma anche “interni” allo stesso sodalizio”. Addirittura ci sarebbe stato il rischio di far saltare l’alleanza criminale. Il gip scrive che le tensioni avrebbero fatto “vacillare la dicotomia Cappello- Bonaccorsi”. E quindi da una parte Turi Cappello, i cugini Salvatore Lombardo (u ciuraru) e Giovanni Catanzaro (‘u milanisi) e la compagna Maria Rosaria Campagna. Tutti sotto processo nei due tronconi del procedimento scaturito dal blitz Penelope, condotta dalla Squadra Mobile di Catania.
Per procedere nella narrazione è necessario fare un piccolo passo indietro. Nella primavera del 2017 Catania si sveglia con la notizia dell’arresto di Concetto Bonaccorsi dopo mesi di latitanza. Una cattura che sorprende, perché i non addetti ai lavori erano convinti che ‘u carateddu fosse in carcere a scontare le varie condanne all’ergastolo. Ma invece il boss aveva deciso di non fare ritorno in cella dopo un permesso premio. E così accompagnato dalla moglie si è spostato in una villetta delle splendide campagne toscane. L’abitazione sarebbe stata riferibile a “soggetti vicini a Maria Campagna”, storica partner del capomafia ergastolano. Ma più volte il boss catanese avrebbe temuto che “Salvatore Giuseppe Lombardo e il cognato Giovanni Catanzaro con il consenso di Salvatore Turi Cappello” si sarebbero recati a Napoli allo scopo di “ucciderlo”. Inoltre anche il figlio, Salvuccio Bonaccorsi ha raccontato ai pm che quando era “responsabile dei Carateddi” sarebbero insorti contrasti con i capi dei Cappello, e cioè Giovanni Catanzaro e Santo Strano (‘facci i palemmu). Insomma la famiglia mafiosa Cappello-Bonaccorsi si sarebbe divisa – da quello che dicono i pentiti – in due “fazioni”.
Appena la notizia del pentimento di Concetto Bonaccorsi e figlio è arrivata in carcere Ignazio ha inviato chiari messaggi ai sodali a piede libero a Catania. “Disconosceva il fratello e rimetteva in piedi la sua leadership imponendo come responsabile del gruppo il figlio Simone Bonaccorsi (arrestato oggi, ndr)”, annota il gip. Una mossa che doveva essere fatta, perché i Carateddi senza un vertice operativo perdevano terreno, rispetto agli altri clan, ma anche rispetto all’altro gruppo interno alla stessa famiglia mafiosa.
Parlavamo di tensioni. E ci sono state anche le reazioni di fuoco. Forse solo per caso non c’è stato il morto. Era il 6 giugno 2017, Salvuccio Bonaccorsi non ha ancora fatto il salto del fosso, quando in via San Leone piovono proiettili in direzione del civico 32 (sono repertati 14 bossoli calibro 9×21). In quel palazzo abitava Cristian Lorenzo Monaco, il piccolo zar della droga di via San Berillo Nuovo. Avrebbe disobbedito agli ordini del suo capo, che all’epoca era proprio Salvuccio Bonaccorsi. È stato lui stesso a confessare di aver ordinato l’atto intimidatorio nei confronti del sodale “colpevole di disattendere le direttive”.
L’aria ha continuato ad essere incandescente in quella rovente estate. Ad agosto si sono susseguiti una serie di episodi, anche inquietanti. Il 13 agosto 2017 in piazza Machiavelli, siamo in pieno centro a Catania, due motociclisti con caschi integrali hanno puntato un fucile mitragliatore all’indirizzo di Luca Calogero (Taricone, ndr). Bonaccorsi junior agli inquirenti ha indicato la vittima come un appartenente ai “Carateddi”. Pochi giorni, nel quartiere San Giorgio un carosello di motorini ha sfilato in piazza Victorin Le Dieu sparando a raffica. Lo stesso giorno è stato organizzato un altro corteo di scooter, questo volta sotto la casa di padre e nipote di Sebastiano Fichera, il boss degli Sciuto-Tigna ucciso in un agguato diversi anni fa e rispettivamente anche nonno e fratello d Seby Calogero, ritenuto uomo di fiducia di Massimiliano Salvo ‘u carruzzeri. Tanti i colpi di pistola che sono stati esplosi. Il 20 agosto, in via Tito Speri, è arrivata alla sala operativa la segnalazione della presenza di numerosi bossoli di pistola. E infatti i poliziotti hanno rinvenuti otto cartucce. “La visione delle immagini dei sistemi di videosorveglianza” ha consentito “di accertare” che quel giorno sono arrivati sul posto due giovani a bordo di uno scooter, uno dei due sceso e ha sparato. “AI civico 48 della via Tito Speri risulta abitare Gaetano Distefano, inteso “Tano sventra”, storico esponente del clan dei “Cursoti Milanesi”, padre di Salvatrice Distefano, convivente di Sebastiano Balbo, inteso “Nuccio””, riassume il giudice. Balbo è una delle teste di serie del clan.
La guerra quindi si è consumata senza morti sul campo. Azioni non pianificate, frutto di una piena crisi sul piano organizzativo e militare della cosca. Con i vecchi boss dietro le sbarre e le nuove leve che hanno risposto alla “fibrillazione” in modo “non lucido”. Teste calde che hanno utilizzato le armi “quale mezzo di risoluzione delle controversie e delle problematiche sulla gestione degli affari illeciti”. In una intercettazioni di qualche tempo fa, un giovane boss spiegava che le regole erano cambiate. Ormai comanda chi sparava prima. E di più. Una verità molto pericolosa.
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23 Giugno 2020, 19:12