10 Febbraio 2017, 05:11
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PALERMO – Gli avvocati chiedono e ottengono il confronto in aula e l’esame del commerciante che denunciò di avere pagato il pizzo. Una storia di racket che arriva della provincia.
Nel mirino era finito un commerciante di macchine di Villafrati. A chiedergli la messa a posto – duemila euro, secondo l’accusa, pagati in due rate – sarebbe stato Antonino Di Marco, responsabile del campo sportivo del comune di Corleone e considerato l’ambasciatore del capomafia Rosario Lo Bue. Gli avvocati Antonio Di Lorenzo e Filippo Liberti, sostengono, però, che ci sono delle incongruenze nel racconto della vittima.
Il commerciante ha riferito che quando arrivarono i segnali del racket chiese aiuto ad un meccanico. Sapeva che doveva rivolgersi a Ciro Badami, ma non lo conosceva in volto. E così in due uscirono insieme dall’officina, il meccanico lo accompagno in piazza e gli indicò Badami. Stando al racconto del meccanico, però, le cose sarebbero andate in maniera diversa. È vero che il commerciante gli chiese informazioni, ma gli parlò genericamente di un Badami, senza specificare il nome Ciro. E in ogni caso non è vero che andarono in piazza assieme. Non si erano mossi dall’officina.
Uno dei due non dice la verità. Da qui la richiesta di confronto chiesta dai legali e disposta dalla Corte d’appello, presieduta da Ivan Marino, che processa tutti i protagonisti della vicenda, già condannati in primo grado.
Una vicenda che mostra tutti i limiti della Cosa nostra di oggi. I carabinieri intercettarono il dialogo in cui Di Marco spiegava al commerciante: “Francò… noi tre li racimoliamo ma mala figura con le persone non ne possiamo fare… vediamo come accumularli tutti e tre insieme… non ce ne sono problemi… pure a cento euro li racimoliamo”. L’importante era non fare cattiva figura con “le persone” e cioè con i capimafia di Corleone.
Gli avvocati della difesa negano alla radice l’estorsione. E lo fanno puntando ancora una volta sulle parole del commerciante, il quale ha definito un suo compaesano un altro imputato, Nicola Parrino, omettendo che c’era una parentela acquisita per via di un matrimonio. Strano, dicono gli avvocati Di Lorenzo e Liberto, che il clan di Corleone commissionasse un’estorsione ai danni di un membro della famiglia.
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10 Febbraio 2017, 05:11